domenica 8 aprile 2012

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GENTE DI DUBLINO (James Joyce)
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I FANTASMI DEL CAPPELLAIO (Georges Simenon) 
http://perchiamalalettura.blogspot.it/2012/04/i-fantasmi-del-cappellaio.html

IL RITRATTO DI DORIAN GRAY (Oscar Wild)
1° parte http://perchiamalalettura.blogspot.it/2012/04/il-ritratto-di-dorian-gray-oscar-wild.html
2° parte http://perchiamalalettura.blogspot.it/2012/04/il-itratto-di-dorian-gray-oscar-wild-2.html

IL RITRATTO DI DORIAN GRAY (Oscar Wild) pt.1

I
Lo studio era pervaso dall'odore intenso delle rose e, quando tra gli alberi del giardino spirava la leggera brezza
estiva, dalla porta spalancata entrava l'intenso odore dei lillà, o il più delicato profumo dei fiori rosa dell'eglantina.
Dall'angolo del divano di coperte da sella persiane, sul quale era sdraiato, fumando com'era sua abitudine
innumerevoli sigarette, Lord Henry Wotton coglieva lo splendore dei fiori di liburno del colore e della dolcezza del
miele, i cui tremuli rami parevano appena sopportare il peso della loro fiammeggiante bellezza. Ogni tanto, l'ombra
fantastica di un uccello in volo saettava, con un fuggevole effetto giapponese, sulle lunghe tende di seta grezza tese
dinanzi all'enorme finestra ricordandogli quei pittori di Tokio dal viso di pallida giada che, con i mezzi di un'arte
necessariamente immobile, cercano di rendere il senso della velocità e del moto. Il cupo ronzio delle api che vagavano
tra le alte erbe non falciate o roteavano con monotona insistenza intorno agli stami coperti di polvere dorata degli sparsi
caprifogli sembrava rendere ancora più opprimente la sensazione di immobilità. Il rombo sommesso della città di
Londra ricordava le note basse di un organo lontano.
In mezzo alla stanza, fissato a un cavalletto, stava il ritratto a figura intera di un giovane di straordinaria
bellezza e di fronte, poco lontano, sedeva l'autore, Basil Hallward, la cui improvvisa scomparsa alcuni anni prima aveva
suscitato tanto scalpore e fatto sorgere tante strane congetture.
Mentre il pittore guardava la forma bella e piena di grazia che con tanta abilità artistica aveva raffigurato, un
sorriso di compiacimento gli attraversò il volto e parve volervisi fermare. Ma, improvvisamente, si alzò e chiudendo gli
occhi posò le dita sulle palpebre, come se volesse tener prigioniero nella mente uno strano sogno da cui temeva
ridestarsi.
«È la tua opera migliore, Basil, la più bella cosa che hai mai fatto,» disse languido Lord Henry. «Devi
assolutamente esporla al Grosvenor. L'Accademia è troppo grande e troppo volgare. Ogni volta che ci sono andato c'era
tanta di quella gente che non sono riuscito a vedere i quadri, il che è tremendo, oppure tanti di quei quadri che non sono
riuscito a vedere la gente, il che è anche peggio. Davvero, il Grosvenor è l'unico posto possibile.»
«Penso che non lo esporrò in nessun posto,» rispose il pittore gettando all'indietro il capo in quello strano modo
che provocava le risate dei suoi compagni di Oxford. «No, non lo esporrò in nessun posto.»
Lord Henry inarcò le sopracciglia e lo guardò stupito attraverso le sottili spire di fumo che salivano in
fantastici arabeschi dalla sigaretta grevemente oppiata. «Non vuoi esporlo? Perché, mio caro amico? C'è qualche
motivo? Che strani tipi siete, voi pittori! Fate qualunque cosa per ottenere una reputazione, poi non appena l'avete
raggiunta pare che la vogliate gettare via. È una sciocchezza, perché al mondo c'è una sola cosa peggiore del far parlare
di sé ed è il non far parlare di sé. Un ritratto come questo ti porrebbe più in alto di tutti i giovani inglesi e ti farebbe
invidiare dai vecchi, posto che i vecchi siano in grado di provare emozioni.»
«So che riderai di me,» rispose il pittore, «ma non posso davvero esporlo. Vi ho messo dentro troppo di me.»
Lord Henry si allungò sul divano ridendo.
«Sì, sapevo che avresti riso; comunque è proprio vero.»
«Troppo di te! Parola mia, Basil, non ti credevo così vanitoso; e non riesco proprio a trovare nessuna
rassomiglianza tra te, con quel tuo viso forte e marcato e i capelli neri come il carbone, e questo giovane Adone che
pare fatto di avorio e petali di rosa. Infatti, mio caro Basil, lui è un Narciso e tu... ecco, naturalmente hai un'espressione
intelligente e tutto il resto, ma la bellezza, la vera bellezza, finisce dove inizia l'espressione intelligente. L'intelletto è di
per se stesso una sorta di eccesso e in qualunque volto distrugge l'armonia. Non appena uno comincia a pensare, diventa
tutto naso o tutta fronte, oppure qualcosa di orrendo. Guarda quelli che hanno avuto successo nelle professioni
intellettuali. Sono assolutamente disgustosi. Eccetto, naturalmente, gli uomini di chiesa. Ma, del resto, gli uomini di
chiesa non pensano. A ottant'anni un vescovo continua a ripetere quello che gli è stato insegnato a diciotto e, come
naturale conseguenza, ha sempre un aspetto delizioso. Questo tuo misterioso amico di cui non mi hai mai detto il nome,
ma il cui ritratto trovo davvero affascinante, non pensa mai. Ne sono assolutamente sicuro. È una creatura bella e priva
di cervello, una creatura che si dovrebbe avere sempre vicina d'inverno, quando non ci sono fiori da ammirare e d'estate,
quando si sente il bisogno di qualcosa che rinfreschi l'intelligenza. Non illuderti, Basil, non gli assomigli
minimamente.»
«Non mi hai capito, Harry,» replicò l'artista. «Naturalmente non gli assomiglio. Lo so perfettamente. In realtà
mi dispiacerebbe assomigliargli. Scuoti le spalle? No, dico la verità. In ogni genere di distinzione, sia intellettuale che
fisica, c'è una fatalità, quel genere di fatalità che, nella storia, pare in agguato sui passi incerti dei re. È meglio non
essere diversi dal nostro prossimo. I brutti e gli stupidi hanno la parte migliore del mondo. Possono mettersi seduti a
loro agio e godersi lo spettacolo. Se della vittoria non sanno nulla, gli viene perlomeno risparmiata la consapevolezza
della sconfitta. Vivono come tutti dovremmo vivere: senza turbamenti, indifferenti e senza preoccupazioni. Non fanno
male agli altri e non ricevono male da mani altrui. La tua nobiltà e la tua ricchezza, Harry, la mia intelligenza, per quel
che può essere, la mia arte per quel che può valere, la bellezza di Dorian Gray: tutti soffriremo di ciò che gli dei ci
hanno donato, ne soffriremo terribilmente tutti.»
«Dorian Gray? Si chiama così?» domandò Lord Henry, muovendosi verso Basil Hallward.
«Sì, si chiama così. Non volevo dirtelo.»
«Perché no?»
«Oh, non saprei spiegartelo. Quando una persona mi piace moltissimo, non dico mai a nessuno il suo nome. È
come cederne una parte. Sono giunto ad amare la segretezza. Pare essere l'unica cosa che può renderci piena di
meraviglia e di mistero la vita moderna. Basta nasconderla, e la più banale delle cose diventa deliziosa. Quando parto da
Londra, non dico mai ai miei dove vado. Se lo dicessi, perderei ogni piacere. È una stupida abitudine, certo, ma in un
certo qual modo pare che porti una grossa dose di romanticismo nella nostra vita. Immagino che mi riterrai
tremendamente stupido.»
«Niente affatto,» rispose Lord Henry, «niente affatto. Forse dimentichi che sono sposato e l'unico elemento di
fascino del matrimonio sta nella necessità di una vita di inganni tra i coniugi. Io non so mai dov'è mia moglie e lei non
sa mai che cosa sto facendo. Quando ci incontriamo, succede qualche volta, se usciamo insieme a cena o andiamo dal
duca, ci raccontiamo con l'espressione più seria le cose più assurde. In questo mia moglie è molto brava, molto più
brava di me. Non confonde mai i suoi appuntamenti, mentre a me capita regolarmente. Ma quando mi coglie in fallo,
non mi fa scenate. A volte vorrei che me le facesse, ma lei si limita a prendermi in giro.»
«Non sopporto il modo che hai di parlare della tua vita matrimoniale, Harry,» disse Basil Hallward, dirigendosi
verso la porta che dava sul giardino. «Ritengo che tu sia un ottimo marito, ma che ti vergogni moltissimo delle tue virtù.
Sei un tipo straordinario. Non dici mai una sola parola morale e non fai mai una cosa sbagliata. Il tuo cinismo è
semplicemente una posa.»
«La naturalezza è semplicemente una posa, e la più irritante che conosca,» esclamò Lord Henry ridendo. I due
uomini uscirono insieme nel giardino e si accomodarono su un lungo sedile di bambù all'ombra di un alto cespuglio di
alloro. Il sole scivolava sulle foglie lucide, bianche margherite fremevano nell'erba.
Dopo una pausa, Lord Henry estrasse l'orologio. «Mi dispiace, Basil, ma devo andare,» mormorò, «e prima di
andarmene vorrei che tu rispondessi a una domanda che ti ho fatto poco fa.»
«Quale domanda?» domandò il pittore, tenendo gli occhi fissi a terra.
«Lo sai benissimo.»
«Non lo so, Harry.»
«Bene, te la ripeterò. Voglio che tu mi spieghi perché non vuoi esporre il ritratto di Dorian Gray. Voglio sapere
il vero motivo.»
«Te l'ho detto.»
«No. Hai detto che non volevi, perché in esso c'era troppo di te. Ora, questo è infantile.»
«Harry,» disse Basil Hallward, guardandolo negli occhi, «ogni ritratto dipinto con sentimento è un ritratto
dell'artista, non del modello. Il modello è solamente un accidente, l'occasione. Non è lui quello che viene rivelato dal
pittore; è piuttosto il pittore che sulla tela dipinta rivela se stesso. Il motivo per cui non esporrò questo quadro è che ho
il timore di avervi messo in evidenza il segreto della mia anima.»
Lord Henry rise. «E qual è questo segreto?»
«Te lo dirò,» disse Hallward, ma sul viso gli apparve un'espressione perplessa.
«Sono impaziente, Basil,» insistette l'amico lanciandogli un'occhiata.
«Oh, c'è davvero molto poco da dire, Harry,» rispose il pittore, «e temo che ti sarà difficile capirlo. Forse non
lo crederai nemmeno.»
Lord Henry sorrise, si chinò a raccogliere nell'erba una margherita dai petali rosati e la esaminò. «Sono sicuro
che ti capirò,» replicò fissando attentamente il minuscolo disco d'oro piumato di bianco, «e per quanto riguarda il
credere, posso credere a qualunque cosa purché sia del tutto incredibile.»
Il vento fece cadere alcuni boccioli dagli alberi e i pesanti lillà con i loro grappoli di stelle oscillarono nell'aria
languida. Accanto al muro una cavalletta cominciò a emettere il suo lieve stridio e una lunga e sottile libellula fluttuò
nell'aria come un filo azzurro sulle ali di seta bruna. Lord Henry aveva l'impressione di percepire il palpito del cuore di
Basil Hallward. Si chiese che cosa stesse avvenendo.
«La storia è semplicemente questa,» disse il pittore dopo qualche attimo. «Due mesi fa andai a un ricevimento
da Lady Brandon. Sai che noi poveri artisti di tanto in tanto ci dobbiamo far vedere in società, solo per ricordare al
pubblico che non siamo selvaggi. Sei stato tu una volta a dirmi che, con un abito da sera e una cravatta bianca,
chiunque, persino un agente di cambio, può guadagnarsi la reputazione di creatura civile. Bene, mi trovavo nella stanza
da una decina di minuti e stavo parlando con enormi matrone troppo vestite e con noiosi accademici, quando
improvvisamente mi resi conto che qualcuno mi stava guardando. Mi girai a metà e per la prima volta vidi Dorian Gray.
Quando i nostri occhi si incontrarono mi sentii impallidire. Fui preso da una strana sensazione di terrore. Mi rendevo
conto di trovarmi di fronte a un uomo il cui semplice fascino personale era tale che, se mi fossi lasciato andare, se glielo
avessi permesso, avrebbe assorbito in sé la mia vera natura, la mia vera anima, persino la mia arte. Non voglio influenze
esterne nella mia vita. Tu stesso, Harry, sai quanto io sia indipendente di natura. Sono sempre stato padrone di me
stesso o almeno lo sono stato finché non ho incontrato Dorian Gray. Allora... ma non so come spiegartelo. Qualcosa
pareva dirmi che ero sull'orlo di una terribile crisi. Avevo la strana sensazione che il destino avesse in serbo per me
gioie squisite e squisite tristezze. Ebbi paura e mi voltai per lasciare la stanza. Non era la coscienza che mi spingeva a
farlo, quanto piuttosto una sorta di viltà. Non mi vanto di aver cercato di fuggire.»
«La coscienza e la viltà sono esattamente la stessa cosa, Basil. La coscienza è semplicemente il marchio di
fabbrica della ditta: tutto qui.»
«Non credo, Harry, e non credo nemmeno che tu ne sia convinto. In ogni modo, qualunque fosse il motivo, può
anche darsi che fosse l'orgoglio, dato che sono molto orgoglioso, è certo che mi diressi decisamente verso la porta. E
qui, naturalmente, inciampai in Lady Brandon. "Non intenderà lasciarci così presto, signor Hallward?" gridò. La
conosci quella sua voce stranamente stridula.»
«Sì, assomiglia in tutto a un pavone, fuorché nella bellezza,» disse Lord Henry, facendo a pezzi la margherita
con le lunghe dita nervose.
«Non riuscii a liberarmi di lei. Mi portò dalle Altezze Reali, da gente con Stelle e Giarrettiere, da vecchie dame
con diademi giganteschi e nasi da pappagallo. Parlava di me come se fossi il suo più caro amico. In precedenza l'avevo
incontrata solo una volta, ma si era messa in testa di esibirmi. Mi pare che in quel periodo uno dei miei quadri avesse
riscosso un grande successo, o perlomeno se ne era parlato sui quotidiani popolari che nel diciannovesimo secolo
rappresentano il sigillo dell'immortalità. E, improvvisamente, mi trovai faccia a faccia con il giovane la cui personalità
mi aveva così stranamente turbato. Eravamo vicinissimi, quasi ci toccavamo. I nostri occhi si incontrarono una volta
ancora. Fu un atto incauto da parte mia, ma chiesi a Lady Brandon di presentarmelo. Forse, dopotutto, non fu un atto
così incauto: era semplicemente inevitabile. Ci saremmo parlati anche senza nessuna presentazione, ne sono certo. In
seguito Dorian me lo disse. Anche lui aveva avuto la sensazione che fossimo destinati a conoscerci.»
«E che cosa ti disse Lady Brandon di questo meraviglioso giovane?» domandò l'amico. «So che si dedica
sempre a esporre un breve précis di tutti i suoi ospiti. Ricordo che una volta mi presentò a un vecchio gentiluomo
dall'aria truculenta e dal volto scarlatto tutto coperto di nastri e decorazioni, sussurrandomi all'orecchio in un tragico
bisbiglio, che probabilmente fu udito da tutti nella stanza, particolari stupefacenti. Semplicemente, scappai. Mi piace
scoprire la gente da solo. Ma Lady Brandon tratta i suoi ospiti esattamente come un banditore tratta la sua merce: o li
presenta in forma completamente sbagliata, oppure dice sul loro conto tutto, salvo quello che uno desidera sapere.»
«Povera Lady Brandon! Sei duro con lei!» disse Hallward distrattamente.
«Mio caro, ha cercato di mettere in piedi un salon ed è riuscita solo ad aprire un ristorante. Come potrei
ammirarla? Ma, dimmi, che cosa ti ha detto del signor Dorian Gray?»
«Oh, qualcosa come "Un ragazzo affascinante... la sua povera madre e io eravamo davvero inseparabili. Non
ricordo assolutamente che cosa faccia... temo che... non faccia nulla... oh, sì, suona il pianoforte... o il violino, signor
Gray?" Scoppiammo a ridere tutti e due e diventammo subito amici.»
«Il ridere non è un brutto modo per iniziare un'amicizia, ed è senz'altro il migliore per terminarla,» disse il
giovane Lord, cogliendo un'altra margherita.
Hallward scosse il capo. «Tu non sai che cosa sia l'amicizia, Harry,» mormorò, «né che cosa sia l'inimicizia,
del resto. A te piace chiunque, il che equivale a dire che tutti ti sono indifferenti.»
«Sei terribilmente ingiusto!» esclamò Lord Henry spingendo all'indietro il cappello e alzando lo sguardo verso
le piccole nubi che, come intricate matasse di lucente seta bianca, veleggiavano nel cavo turchese del cielo estivo. «Sì,
sei terribilmente ingiusto. Io faccio molta differenza tra le persone. Scelgo gli amici per la bellezza, i conoscenti per il
buon carattere e i nemici per l'intelligenza. Non si è mai abbastanza attenti nella scelta dei propri nemici. Io non ne ho
nemmeno uno che sia stupido. Sono tutti persone dalle notevoli capacità intellettuali e, di conseguenza, mi apprezzano.
È una manifestazione di vanità da parte mia? Io penso di sì.»
«Pare anche a me, Harry. Ma, secondo questa classificazione, io sono soltanto un conoscente.»
«Vecchio mio, tu sei molto più di un conoscente.»
«E molto meno di un amico. Una specie di fratello, immagino.»
«Oh, i fratelli! Non mi interessano i fratelli! Mio fratello maggiore non vuol morire, e i miei fratelli più giovani
pare che non facciano altro.»
«Harry!» esclamò Hallward, aggrottando le sopracciglia.
«Caro amico, non dico sul serio. Ma non posso fare a meno di detestare i miei parenti. Immagino che sia
dovuto al fatto che nessuno può sopportare chi possiede gli stessi suoi difetti. Ho molta simpatia per la rabbia che la
democrazia inglese nutre nei confronti di quelli che chiamano i vizi delle classi superiori. Le masse pensano che
l'ubriachezza, la stupidità e l'immoralità debbano essere una loro speciale prerogativa e che, se qualcuno di noi si
comporta da deficiente, va a caccia nelle loro riserve. Quando il povero Southwark si presentò di fronte al tribunale dei
divorzi, la loro indignazione fu spettacolare. E tuttavia non penso che il dieci per cento del proletariato viva
nell'onestà.»
«Non sono d'accordo su una sola parola di ciò che hai detto, Harry, e quel che è di più sono sicuro che
nemmeno tu lo sei.»
Lord Henry si lisciò la bruna barba appuntita e assestò un colpetto alla scarpa di vernice con il fiocco del
bastone di ebano. «Come sei inglese, Basil! È la seconda volta che fai questa osservazione. Quando si espone un'idea a
un vero inglese, il che è sempre un atto temerario, costui non si sogna nemmeno di valutare se l'idea è giusta o sbagliata.
L'importante per lui è sapere se chi l'ha esposta ne è convinto o meno. Ora, il valore di un'idea non ha nulla a che vedere
con la sincerità di chi la espone. In realtà, la cosa più probabile è che quanto meno uno è sincero tanto più
intellettualmente pura sia l'idea perché non sarà inquinata né dai suoi difetti, né dai suoi desideri o dai suoi pregiudizi.
Tuttavia non intendo discutere di politica, di sociologia o di metafisica con te. Mi piacciono le persone più dei principi e
più di qualunque altra cosa mi piacciono le persone senza principi. Parlami ancora del signor Dorian Gray. Lo vedi
spesso?»
«Ogni giorno. Non sarei contento se non lo vedessi ogni giorno. Mi è assolutamente necessario.»
«Straordinario! Pensavo che ti interessasse solo la tua arte.»
«In questo momento lui rappresenta per me tutta la mia arte,» disse gravemente il pittore. «Harry, a volte penso
che nella storia del mondo ci siano solo due momenti importanti. Il primo è quando appare un nuovo mezzo artistico, il
secondo quando appare una nuova personalità artistica. Quello che per i veneziani fu l'invenzione dei colori ad olio, fu
per la tarda scultura greca il volto di Antinoo e un giorno sarà per me il volto di Dorian Gray. Non solo perché dipingo,
disegno, schizzo prendendolo come modello. Naturalmente ho fatto tutte queste cose, ma Dorian è per me molto più di
un modello o di un soggetto. Non ti dirò che non sono soddisfatto di quel che ho tratto da lui, né che la sua bellezza è
tale che l'arte non è in grado di esprimerla. Non c'è nulla che l'arte non possa esprimere e so che ciò che ho fatto da
quando ho conosciuto Dorian è un buon lavoro, il miglior lavoro della mia vita. Ma in qualche strano modo, spero che
mi capirai, la sua personalità mi ha suggerito uno stile e una forma artistica completamente nuovi. Vedo diversamente le
cose e le penso diversamente. Adesso sono in grado di ricreare la vita in una forma che prima mi era preclusa. "Un
sogno di forma in giorni di pensiero": chi l'ha detto? Me ne sono dimenticato ma proprio questo Dorian Gray ha
rappresentato per me. La sola presenza di questo ragazzo, perché mi sembra un ragazzo, anche se ha più di vent'anni, la
sua sola presenza... ah! Mi chiedo se ti puoi rendere conto di che cosa tutto questo significhi. Inconsciamente lui mi
delinea una nuova scuola, una scuola che dovrà avere in sé tutta la passione dello spirito romantico e tutta la perfezione
dello spirito greco. L'armonia di anima e corpo... che cosa grande! Nella nostra follia noi li separiamo e abbiamo
inventato un realismo che è volgare e un idealismo che è vuoto. Henry, se tu appena sapessi che cosa rappresenta per
me Dorian Gray! Ricordi quel mio paesaggio che Agnew si era offerto di comperare per una somma altissima, ma dal
quale non ho voluto separarmi? È una delle cose migliori che ho mai dipinto. E perché? Perché, mentre lo dipingevo,
Dorian Gray era seduto accanto a me. Qualche sottile influenza passava da lui a me e, per la prima volta in vita mia, ho
visto in una boscaglia la meraviglia che avevo sempre cercato e sempre mancato.»
«È straordinario, Basil. Devo vedere Dorian Gray.»
Hallward si alzò e fece qualche passo avanti e indietro nel giardino. Dopo qualche momento ritornò. «Harry,»
disse, «per me Dorian Gray è un semplice spunto artistico. In lui tu potresti non vedere nulla, mentre io ci vedo tutto.
Non è mai tanto presente nella mia opera come quando in essa non appare nulla di lui. Come ti ho detto, Dorian ha
ispirato il mio nuovo stile: lo ritrovo in certe linee, nella dolcezza e nell'elusività di certi colori. Solo questo.»
«E allora perché non vuoi esporre il suo ritratto?» domandò Lord Henry.
«Perché, senza averne l'intenzione, vi ho inserito qualche manifestazione di questa strana idolatria artistica di
cui, naturalmente, non mi sono mai curato di parlargli. Lui non ne sa nulla. E non ne saprà mai nulla. Ma il mondo
potrebbe intuirlo e io non metterò a nudo la mia anima sotto i suoi occhi superficiali e curiosi. Non metterò mai il mio
cuore sotto il microscopio del mondo. In quel ritratto c'è troppo di me, Harry... davvero troppo!»
«I poeti non hanno i vostri scrupoli. Sanno quanto la passione sia utile per pubblicare. Oggi, un cuore spezzato
lo si stampa in molte edizioni.»
«Li odio proprio per questo,» esclamò Hallward. «Un artista dovrebbe creare cose belle, ma non dovrebbe
inserirvi nulla della propria vita. Viviamo in un'epoca in cui gli uomini ritengono che l'arte sia una specie di
autobiografia. Abbiamo perduto il senso della bellezza astratta. Un giorno mostrerò al mondo che cosa sia, e proprio per
questo il mondo non vedrà mai il mio ritratto di Dorian Gray.»
«Secondo me hai torto, Basil, ma non voglio discutere con te. Discute continuamente solo chi ha esaurito
l'intelligenza. Dimmi, Dorian Gray prova un affetto intenso per te?»
Il pittore rifletté un poco. «Gli piaccio,» rispose dopo qualche attimo; «so che gli piaccio. Naturalmente io lo
adulo spaventosamente. Provo uno strano piacere a dirgli cose che so benissimo poi mi pentirò di avergli detto. Di
regola è molto gentile con me, sediamo insieme nello studio e parliamo di una quantità di cose. Ogni tanto, però, si
dimostra terribilmente irriflessivo e pare che si diverta davvero a farmi soffrire. Allora, Harry, ho la sensazione di aver
ceduto la mia anima a qualcuno che la tratta come se fosse un fiore da mettere all'occhiello, una piccola decorazione per
appagare la sua vanità, l'ornamento di un giorno d'estate.»
«I giorni d'estate, Basil, favoriscono gli indugi,» mormorò Lord Henry. «Forse ti stancherai prima di lui. È
triste pensarlo, ma senza dubbio il genio è più duraturo della bellezza. Questo spiega perché noi tutti ci diamo tanta
pena per istruirci all'eccesso. Nella lotta selvaggia per l'esistenza, cerchiamo di avere qualcosa di durevole e perciò ci
riempiamo la mente di cose inutili e di fatti, sperando stupidamente di mantenere la nostra posizione. L'uomo che sa
tutto: ecco l'ideale moderno. E la mente dell'uomo che sa tutto è una cosa terribile. È come un negozio di cianfrusaglie,
pieno di polvere e di mostruosità, dove ogni cosa ha un prezzo superiore di quel che vale. Comunque, penso che sarai il
primo a stancarti. Un giorno guarderai il tuo amico e ti sembrerà un po' sfuocato, oppure non ti piacerà il tono del suo
colore o qualche cosa di simile. Dentro di te, lo rimprovererai con durezza e penserai seriamente che si è comportato
molto male nei tuoi confronti. Quando si farà nuovamente vivo, sarai assolutamente freddo e indifferente. Sarà un
grosso peccato, perché questo produrrà in te un cambiamento. Quello che mi hai raccontato è un vero romanzo, lo si
potrebbe chiamare un romanzo d'arte e la cosa peggiore che capita quando si vive un romanzo di qualunque tipo è che ci
lascia completamente privi di sentimenti romantici.»
«Non parlare in questo modo, Harry. La personalità di Dorian Gray mi dominerà finché vivrò. Non puoi sentire
quello che sento io. Sei troppo incostante.»
«Ah, mio caro Basil, proprio per questo posso sentirlo. Quelli che sono fedeli conoscono solo il lato banale
dell'amore: sono gli infedeli che ne conoscono le tragedie.» Lord Henry accese un fiammifero strofinandolo su una
squisita scatoletta d'argento e cominciò a fumare una sigaretta con un'aria a un tempo soddisfatta e imbarazzata, come
se, in una sola affermazione, avesse riassunto l'essenza del mondo. Tra le verdi foglie di lacca dell'edera si sentiva uno
stormire di passeri cinguettanti, sull'erba le ombre azzurrine delle nubi si inseguivano come rondini. Come si stava bene
nel giardino! E quant'erano piacevoli le emozioni degli altri!... molto più piacevoli delle loro idee, gli sembrava. La
propria anima e le passioni di un amico: queste erano le cose affascinanti dell'esistenza. Con silenzioso piacere si
raffigurò il pasto noioso che aveva mancato per rimanere tanto a lungo con Basil Hallward. Se fosse andato da sua zia,
avrebbe incontrato di certo Lord Goodbody e si sarebbe parlato solo di come nutrire i poveri e della necessità di
dormitori modello. Ciascuna classe avrebbe predicato l'importanza di quelle virtù che nella propria vita non erano
necessarie. I ricchi avrebbero magnificato il valore della parsimonia e i pigri avrebbero parlato con eloquenza della
dignità del lavoro. Per fortuna a tutto questo era sfuggito! E, mentre stava pensando a sua zia, un'idea parve colpirlo.
Rivolgendosi a Hallward, disse: «Caro amico, adesso ricordo.»
«Che cosa ricordi, Harry?»
«Dove ho già sentito il nome di Dorian Gray.»
«E dove?» domandò Hallward, leggermente accigliato.
«Non fare quella faccia arrabbiata, Basil. È stato da mia zia, da Lady Agatha. Mi ha detto che aveva scoperto
un meraviglioso giovanotto che l'avrebbe aiutata nell'East End e che si chiamava Dorian Gray. Devo riconoscere che
non mi ha parlato della sua bellezza. Le donne non apprezzano la bellezza, le brave donne almeno. Disse che era molto
onesto e che aveva un ottimo carattere. Immaginai immediatamente un tipo dai capelli lunghi, con gli occhiali, tutto
coperto di lentiggini e barcollante su un paio di piedi enormi. Vorrei aver saputo che si trattava del tuo amico.»
«Sono molto contento che tu non l'abbia saputo, Harry.»
«Perché?»
«Perché non voglio che tu lo conosca.»
«Non vuoi che lo conosca?»
«No.»
«Il signor Dorian Gray è nello studio, signore,» disse il maggiordomo scendendo in giardino.
«Adesso dovrai presentarmi,» esclamò Lord Henry, ridendo.
Il pittore si rivolse al domestico che, immobile, socchiudeva gli occhi nel sole. «Preghi il signor Gray di
attendere, Parker. Rientrerò tra qualche istante.» L'uomo si inchinò e risalì lungo il vialetto.
Hallward si rivolse a Lord Henry. «Dorian Gray è il mio più caro amico,» disse. «Ha una natura semplice e
bella. Quello che ti ha detto tua zia è assolutamente vero. Non lo guastare. Non cercare di influenzarlo: la tua sarebbe
una cattiva influenza. Il mondo è grande e in esso ci sono moltissime persone straordinarie. Non allontanare da me
l'unica persona che dà alla mia arte tutto il suo fascino; la mia vita come artista dipende da lui. Ricorda, Harry, mi fido
di te.» Parlava lentamente e le parole parevano uscirgli contro la sua volontà.
«Che stupidaggini stai dicendo!» disse Lord Henry con un sorriso e, prendendolo a braccetto, quasi lo trascinò
in casa.

II
Appena entrati, videro Dorian Gray. Sedeva di fronte al piano voltando loro le spalle e sfogliava le pagine di
un fascicolo delle «Scene della foresta» di Schumann. «Me li devi prestare, Basil,» esclamò. «Voglio studiarli. Sono
proprio meravigliosi.»
«Dipende da come poserai oggi, Dorian.»
«Oh, sono stufo di posare, non ho nessuna voglia di avere un mio ritratto a grandezza naturale,» rispose il
giovane, girandosi sullo sgabello con un'espressione di arrogante petulanza. Vide Lord Henry e un accenno di rossore
gli colorò le guance per un attimo; si alzò in piedi. «Ti prego di scusarmi, Basil. Non sapevo che ci fosse qualcuno con
te.»
«Questo è Lord Henry Wotton, Dorian, un mio vecchio amico di Oxford. Gli avevo appena detto che eri un
modello eccezionale e ora hai guastato tutto.»
«Non ha guastato il piacere che provo nel conoscerla, signor Gray,» disse Lord Henry, facendosi avanti e
tendendogli la mano. «Mia zia mi ha parlato spesso di lei: è uno dei suoi favoriti e, temo, una delle sue vittime.»
«In questo momento sono sul libro nero di zia Agatha,» rispose Dorian Gray, con una buffa espressione
pentita. «Le avevo promesso di accompagnarla in un club di Whitechapel martedì scorso e me ne sono completamente
dimenticato. Avremmo dovuto suonare un pezzo a quattro mani... tre pezzi, mi pare. Non so che cosa mi dirà. Sono
troppo spaventato per farmi vivo.»
«Oh, le farò far pace con la zia. Le vuole molto bene. E non credo che la sua assenza abbia avuto conseguenze
di rilievo. Probabilmente il pubblico avrà pensato ugualmente di ascoltare un pezzo a quattro mani. Quando zia Agatha
si mette al piano, fa abbastanza rumore per due.»
«Questo è terribile verso la zia Agatha e non molto gentile verso di me,» rispose Dorian ridendo.
Lord Henry lo osservò. Sì, era davvero meravigliosamente bello con quelle labbra rosse ben disegnate, i
franchi occhi azzurri e i riccioli biondi. C'era nel suo volto qualcosa che ispirava immediatamente fiducia: tutto il
candore della gioventù e, insieme, della gioventù l'appassionata purezza. Si avvertiva che non si era lasciato segnare dal
mondo. Nessuna meraviglia che Basil Hallward lo adorasse.
«Lei è troppo affascinante per dedicarsi alla filantropia, signor Gray, davvero troppo affascinante.» Lord Henry
si lasciò cadere sul divano e aprì il portasigarette.
Il pittore era intento a mescolare i colori e a preparare i pennelli. Sembrava preoccupato e, nell'udire l'ultimo
commento di Lord Henry, gli lanciò un'occhiata, esitò, poi disse: «Harry, vorrei finire il quadro oggi. Ti sembrerei
troppo scortese se ti chiedessi di lasciarci?»
Lord Henry sorrise e guardò Dorian Gray. «Devo andarmene, signor Gray?» domandò.
«Oh, la prego, non se ne vada Lord Henry. Vedo che Basil ha uno dei suoi accessi di cattivo umore e quando è
così non lo posso sopportare. D'altra parte, voglio che lei mi dica perché non devo dedicarmi alla filantropia.»
«Non credo che glielo dirò, signor Gray. È un argomento così noioso che bisognerebbe parlarne seriamente.
Ma ora che mi ha chiesto di rimanere, non scapperò via di certo. Non ti dispiace vero, Basil? Mi hai detto tante volte
che sei contento se i tuoi modelli hanno qualcuno con cui chiacchierare.»
Hallward si morse un labbro. «Se Dorian lo desidera, puoi rimanere, ovviamente. I suoi capricci sono legge per
chiunque, tranne che per lui.»
Lord Henry prese i guanti e il cappello. «Sei molto insistente, Basil, ma devo andare, mi dispiace. Ho promesso
di incontrare una persona all'Orléans. Arrivederci, signor Gray. Venga a trovarmi qualche pomeriggio in Curzon Street.
Alle cinque sono quasi sempre in casa. Mi scriva quando verrà. Mi dispiacerebbe molto che non mi trovasse.»
«Basil,» esclamò Dorian Gray, «se Lord Henry se ne va, me ne vado anch'io. Quando dipingi non dici una
parola ed è terribilmente noioso stare immobile su un piedistallo cercando di assumere un'aria piacevole. Chiedigli di
restare. Insisto.»
«Resta, Harry, per fare un piacere a Dorian e per farlo a me,» disse Hallward fissando attentamente il quadro.
«È vero, quando lavoro non parlo mai e non ascolto: deve essere una cosa mortalmente noiosa per i miei disgraziati
modelli. Ti prego di rimanere.»
«Ma quella persona che devo incontrare all'Orléans?»
Il pittore rise. «Non credo che ci saranno difficoltà. Ritorna a sedere, Harry. E adesso, Dorian, sali sul
piedistallo, non muoverti troppo e non badare a quello che ti dirà Lord Henry: ha una pessima influenza su tutti i suoi
amici. Io sono l'unica eccezione.»
Dorian Gray salì sulla piattaforma con l'aria di un giovane martire greco e rivolse una leggera moue di
disappunto a Lord Henry per il quale provava già un notevole interesse. Era così diverso da Basil. Insieme, formavano
un piacevole contrasto. E aveva una voce così bella. Dopo un momento gli disse: «Ha davvero una così cattiva
influenza, Lord Henry? Cattiva come sostiene Basil?»
«Le buone influenze non esistono, signor Gray. Tutte le influenze sono immorali... immorali dal punto di vista
scientifico.»
«Perché?»
«Perché influenzare qualcuno significa dargli la propria anima: non pensa più con i suoi pensieri spontanei, né
arde delle sue passioni spontanee. Non ha virtù proprie. I suoi peccati, se cose come i peccati esistono, sono presi a
prestito. Diventa l'eco della musica suonata da un altro, l'interprete di una parte che non è stata scritta per lui. Lo scopo
della vita è lo sviluppo di noi stessi. La perfetta realizzazione della nostra natura: questa è la ragione della nostra
esistenza. Oggi l'uomo ha paura di sé. Ha dimenticato il più elevato di tutti i doveri, il dovere che ciascuno di noi ha nei
confronti di se stesso. Naturalmente è caritatevole, dà da mangiare agli affamati e veste i mendicanti, ma la sua anima
langue ed è nuda. Il coraggio ha abbandonato la nostra specie, o forse non lo abbiamo mai realmente avuto. Il timore
della società, che è il fondamento della morale, il terrore di Dio, che è il segreto della religione, sono le due cose che ci
governano. E tuttavia...»
«Dorian, volta la testa leggermente verso destra, da bravo,» disse il pittore, immerso nel suo lavoro e conscio
solo del fatto che nel viso del giovane era apparsa un'espressione che non aveva mai visto prima.
«E tuttavia,» proseguì Lord Henry con la sua voce bassa e musicale e con quell'elegante ondeggiare della mano
che era stato una sua caratteristica fin dai tempi di Eton, «credo che se ognuno dovesse vivere pienamente la sua vita, se
desse concretezza a ogni sua sensazione, espressione a ogni pensiero, realtà a ogni sogno, credo che il mondo ne
riceverebbe un così fresco impulso di gioia che dimenticheremmo tutti i malanni del medievalismo e ritorneremmo
all'ideale ellenico e forse a qualcosa di più bello e più ricco dell'ideale ellenico. Ma il più coraggioso di noi ha paura di
se stesso. Le mutilazioni dei selvaggi sopravvivono tragicamente nella repressione del proprio io che deturpa la nostra
vita. Siamo puniti per i nostri rifiuti. Ogni impulso che cerchiamo di soffocare fermenta nella nostra mente e ci
avvelena. Il corpo pecca una sola volta e supera subito il peccato, perché l'azione è un modo di purificarsi. Allora non
rimane più nulla, salvo il ricordo del piacere, o il lusso di un rimpianto. L'unico modo di liberarsi di una tentazione è
abbandonarvisi. Resisti, e la tua anima si ammalerà del desiderio delle cose che si è proibite, di passione per ciò che le
sue stesse mostruose leggi hanno reso mostruoso e illegale. Si è detto che i grandi avvenimenti dell'umanità si
sviluppano nel cervello. Ed è anche nel cervello che si verificano i grandi peccati dell'umanità. Lei, signor Gray, lei
stesso durante la sua purpurea gioventù, durante la sua candida adolescenza, ha avuto passioni che l'hanno spaventata,
pensieri che l'hanno riempita di terrore, sogni e fantasticherie il cui semplice ricordo dovrebbe farla arrossire di
vergogna...»
«Basta!» balbettò Dorian Gray, «basta! Lei mi sconvolge. Non so che cosa risponderle: c'è una risposta ma non
la trovo. Non parli, mi lasci pensare. O, meglio, lasci che provi a non pensare.»
Rimase immobile per una diecina di minuti, le labbra semiaperte, gli occhi stranamente luminosi. Era
oscuramente conscio che in lui agivano forze completamente nuove. E tuttavia gli pareva davvero, che provenissero dal
suo intimo. Le poche parole che l'amico di Basil gli aveva detto, parole senza dubbio casuali e volutamente paradossali,
avevano toccato qualche corda segreta che non era mai stata toccata prima, ma che ora sentiva vibrare e sussultare di
uno strano fremito.
Nell'identico modo l'aveva colpito la musica: ne era stato molte volte sconvolto, ma la musica non è articolata,
non crea in noi un nuovo mondo, quanto piuttosto un nuovo caos. Parole! Semplici parole! Quant'erano terribili!
Quant'erano chiare, vivide, crudeli! Ad esse non si poteva sfuggire. E tuttavia quale sottile magia contenevano.
Sembravano capaci di dare forma plastica a cose informi, sembravano possedere una musica loro, propria, dolce come
quella della viola o del flauto. Semplici parole! C'era qualcosa di altrettanto reale quanto le parole?
Sì, nella sua adolescenza c'erano state cose che non aveva capito. Adesso le capiva. Improvvisamente la vita gli
apparve del colore della fiamma. Gli sembrò di aver camminato fino a quel momento nel fuoco. Come mai non se ne
era reso conto?
Lord Henry lo osservava con un leggero sorriso. Conosceva l'esatto momento psicologico in cui non bisognava
dir nulla. Si sentì profondamente interessato. Lo stupiva l'intensa impressione provocata dalle sue parole e, ricordando
un libro che aveva letto a sedici anni, un libro che gli aveva rivelato molte cose che non sapeva, si domandò se Dorian
Gray non stesse attraversando la stessa esperienza. Aveva semplicemente scagliato una freccia in aria. Aveva colto il
bersaglio? Quant'era affascinante quel ragazzo!
Hallward continuava a dipingere con quel suo tocco meravigliosamente sicuro, che possedeva l'autentica
finezza e la perfetta delicatezza che nell'arte, in definitiva, vengono solo dalla forza. Non si accorgeva del silenzio.
«Basil, sono stanco di posare,» si lamentò improvvisamente Dorian Gray. «Devo andare a sedermi in giardino.
Qui si soffoca.»
«Mio caro amico, mi dispiace davvero. Quando dipingo non penso ad altro. Ma non hai mai posato così bene.
Stavi perfettamente immobile. E sono riuscito a cogliere l'effetto che volevo: le labbra semiaperte e questa luminosità
nello sguardo. Non so che cosa ti stesse dicendo Harry, ma ti ha fatto assumere un'espressione meravigliosa. Immagino
che ti abbia fatto dei complimenti. Non devi credere a una sola parola di quello che dice.»
«Non mi ha fatto nessun complimento. Forse per questo non credo a nulla di ciò che mi ha detto.»
«Sa benissimo di credere a tutto, invece,» ribatté Lord Henry, fissandolo con quei suoi occhi languidi e
sognanti. «La accompagnerò in giardino. Qui nello studio fa un caldo terribile. Basil, facci portare qualcosa di
ghiacciato, qualcosa con delle fragole.»
«Certo, Harry. Basta suonare il campanello e quando verrà Parker gli dirò che cosa desideri. Io devo lavorare
allo sfondo e vi raggiungerò tra poco. Non trattenere troppo a lungo Dorian. Non ho mai dipinto bene come oggi.
Questo sarà il mio capolavoro. Già adesso è il mio capolavoro.»
Lord Henry uscì in giardino e trovò Dorian Gray che seppelliva il viso nei grandi freschi grappoli di lillà,
bevendone il profumo come se fosse un vino. Gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla. «Fa bene,» mormorò.
«Nulla guarisce l'anima salvo i sensi, come nulla guarisce i sensi salvo l'anima.»
Il giovane ebbe uno scatto e arretrò. Era a capo scoperto e le foglie gli avevano scomposto i riccioli ribelli,
sconvolgendone la trama dorata. Negli occhi aveva un'espressione di spavento, come capita a chi viene svegliato
improvvisamente. Le narici finemente cesellate fremettero e un nervo invisibile scosse le labbra scarlatte lasciandole
frementi.
«Sì,» proseguì Lord Henry, «questo è uno dei grandi segreti della vita: guarire l'anima con i sensi e i sensi con
l'anima. Lei è una meravigliosa creatura. Lei sa più di quanto crede di sapere, proprio come sa meno di quanto vuole
sapere.»
Dorian Gray aggrottò le sopracciglia e distolse il viso: non poteva fare a meno di subire il fascino del giovane
alto e aggraziato che gli stava accanto. Lo interessavano il suo romantico viso olivastro e l'espressione esausta. La sua
voce bassa e languida aveva qualcosa di assolutamente affascinante. Anche le mani, bianche e fresche come fiori,
possedevano uno strano fascino: quando Lord Henry parlava, si muovevano come una musica e parevano esprimersi in
una loro lingua. Ma Dorian aveva paura di lui e si vergognava di aver paura. Perché era stato uno sconosciuto a rivelarlo
a se stesso? Conosceva da mesi Basil Hallward, ma l'amicizia che c'era tra loro non lo aveva mai turbato.
Improvvisamente, nella sua vita era apparso qualcuno che pareva avergli rivelato i misteri della vita. E, comunque, di
che cosa doveva aver paura? Non era né uno scolaretto né una ragazzina. La sua paura era assurda.
«Andiamo a sederci all'ombra,» disse Lord Henry. «Parker ha portato fuori le bibite e se lei rimane ancora
sotto questo riverbero si sciuperà e Basil non le farà più ritratti. Davvero, non deve lasciare che il sole l'abbronzi. Non le
si addice.»
«Che importanza ha?» esclamò Dorian Gray ridendo, mentre sedeva sulla panchina in fondo al giardino.
«Per lei dovrebbe significare tutto, signor Gray.»
«Perché?»
«Perché lei ha una giovinezza meravigliosa e la giovinezza è l'unica cosa che vale la pena di avere.»
«Non mi sembra, Lord Henry.»
«No, non le sembra adesso. Un giorno, quando sarà vecchio, rugoso, brutto, quando il pensiero avrà segnato di
rughe la sua fronte e quando la passione avrà marcato le sue labbra del suo orrendo fuoco, le sembrerà, le sembrerà
terribilmente. Ora, dovunque vada, lei affascina il mondo. Sarà sempre così?... Ha un viso meraviglioso, signor Gray.
Non si accigli: lo ha. E la bellezza è una manifestazione del genio. In realtà è più elevata del genio, perché non ha
bisogno di spiegazioni. È una delle grandi cose del mondo, come la luce del sole o la primavera, o come il riflesso
nell'acqua cupa di quella conchiglia argentea che chiamiamo luna. Non può venire contestata. Regna per diritto divino e
rende principi coloro che la possiedono. Lei sorride? Ah! quando l'avrà perduta non sorriderà più... a volte la gente dice
che la bellezza è solo superficiale. Può darsi. Ma perlomeno non è superficiale quanto il pensiero. Per me, la bellezza è
la meraviglia delle meraviglie. Solo la gente mediocre non giudica dalle apparenze. Il vero mistero del mondo è ciò che
si vede, non l'invisibile... Sì, signor Gray, gli dei le sono stati propizi. Ma ciò che gli dei danno, lo tolgono in fretta. Lei
ha solo pochi anni da vivere realmente, perfettamente e pienamente. Quando la sua giovinezza se ne sarà andata, la sua
bellezza la seguirà e allora improvvisamente si renderà conto che non ci saranno più trionfi per lei, oppure dovrà
accontentarsi di quei mediocri trionfi che il ricordo del passato renderà amari più di sconfitte. Ogni mese che passa la
avvicina a qualcosa di tremendo. Il tempo è geloso di lei e combatte contro i suoi gigli e le sue rose. Il suo colorito si
spegnerà, le guance si incaveranno, gli occhi perderanno luminosità. Soffrirà, orrendamente... Ah! approfitti della
giovinezza finché la possiede. Non sprechi l'oro dei suoi giorni ascoltando gente noiosa, cercando di migliorare un
fallimento senza speranza o gettando la sua vita agli ignoranti, alla gente mediocre, ai malvagi. Questi sono gli obiettivi
malsani, i falsi ideali della nostra società. Deve vivere! Vivere la vita meravigliosa che è in lei! Non lasci perdere nulla!
Cerchi sempre sensazioni nuove. Non abbia paura di nulla... Un nuovo edonismo... ecco che cosa vuole il nostro secolo.
Lei potrebbe esserne il simbolo palese. Con la sua personalità non c'è nulla che lei non possa fare. Il mondo le
appartiene per una stagione... Quando l'ho conosciuta ho capito che lei non si rende conto di chi in realtà è, o di chi in
realtà potrebbe essere. Così tante cose mi hanno affascinato in lei, che ho sentito di doverle comunicare qualcosa sul suo
conto. Ho pensato quale tragedia sarebbe se lei sprecasse la sua vita. Perché la sua giovinezza sarà così breve... così
breve. I semplici fiori di campo appassiscono, ma ritornano a fiorire. Il prossimo giugno l'avorio sarà giallo come ora.
Tra un mese questa clematide sarà ricoperta di stelle purpuree e un anno dopo l'altro la verde notte delle sue foglie
racchiuderà altre stelle purpuree. Ma la nostra giovinezza, non ritorna mai, i palpiti di gioia che battono dentro di noi a
vent'anni si fanno confusi, le nostre membra si indeboliscono, i sensi si corrompono. Degeneriamo in ripugnanti
fantocci, nell'ossessione del ricordo di passioni che abbiamo troppo temuto e di squisite tentazioni cui non abbiamo
avuto il coraggio di abbandonarci. Giovinezza! Giovinezza! Non c'è assolutamente nulla al mondo, fuorché la
giovinezza!»
Dorian Gray lo ascoltava meravigliato, a occhi spalancati. Dalle sue mani il ramo di lillà cadde sulla ghiaia;
giunse un'ape vellutata, ronzò per un attimo intorno al grappolo, poi cominciò ad arrampicarsi sul globo ovale, stellato
di piccoli fiori. La osservò con quello strano interesse per le cose prive di importanza che cerchiamo di sviluppare
quando le cose importanti ci fanno paura, quando ci agita un'emozione nuova che non sappiamo esprimere, o quando un
pensiero terrorizzante d'improvviso ci assedia la mente chiedendo la nostra resa. Dopo un poco l'ape volò via. La vide
infilarsi nella tromba screziata di un convolvolo di Tiro. Il fiore parve rabbrividire, poi prese a oscillare dolcemente.
D'improvviso, sulla porta dello studio apparve il pittore e li invitò ad entrare con un gesto delle braccia tese.
Lord Henry e Dorian Gray si guardarono negli occhi e sorrisero.
«Vi sto aspettando,» esclamava Basil. «Entrate. La luce è perfetta, potete portare con voi i bicchieri.»
Si alzarono e risalirono insieme il viale. Alle loro spalle svolazzavano due farfalle bianche e verdi, sul pero
nell'angolo del giardino un tordo fischiò.
«È contento di avermi incontrato, signor Gray?» disse Lord Henry, fissandolo.
«Sì, sono contento, ora. Mi domando se lo sarò sempre.»
«Sempre! Che parola tremenda. Mi fa rabbrividire ogni volta che la sento. Alle donne piace moltissimo usarla.
Rovinano tutto ciò che vi è di romantico cercando di farlo durare in eterno. E poi è una parola priva di significato.
L'unica differenza tra un capriccio e la passione di una vita è che il capriccio dura un po' più a lungo.»
Mentre entravano nello studio, Dorian Gray posò una mano sul braccio di Lord Henry. «In questo caso,
speriamo che la nostra amicizia sia un capriccio,» mormorò, arrossendo della propria audacia. Salì sulla piattaforma,
rimettendosi in posa.
Lord Henry si lasciò cadere in una grande poltrona di vimini e lo osservò. Gli unici rumori che rompevano il
silenzio erano i colpetti leggeri e i fruscii del pennello sulla tela, salvo quando, ogni tanto, Hallward indietreggiava per
osservare a distanza il lavoro. Il pulviscolo dorato danzava nei raggi di sole che fluivano obliqui dal finestrone aperto.
Su ogni cosa pareva incombere l'intenso odore delle rose.
Dopo circa un quarto d'ora Hallward smise di dipingere e con le sopracciglia aggrottate osservò lungamente
Dorian Gray poi a lungo il quadro, mordendo l'estremità di uno dei suoi grossi pennelli. «È completamente finito,»
esclamò alla fine e, chinatosi, scrisse il suo nome a lunghe lettere vermiglie nell'angolo sinistro della tela.
Lord Henry si avvicinò ed esaminò il quadro. Senza dubbio era una meravigliosa opera d'arte e anche la
rassomiglianza era meravigliosa.
«Mio caro amico, ti faccio le mie più vive congratulazioni,» disse. «È il più bel ritratto dell'epoca moderna.
Signor Gray, venga e si guardi.»
Il giovane ebbe un sussulto, come se si fosse destato da un sogno. «È davvero finito?» mormorò scendendo
dalla piattaforma.
«Completamente finito,» ripeté il pittore. «E oggi hai posato magnificamente. Te ne sono davvero
riconoscente.»
«È tutto merito mio,» intervenne Lord Henry. «Non è vero signor Gray?»
Dorian non rispose, ma passò con aria svogliata davanti al quadro e si voltò per osservarlo. Quando lo vide
arretrò leggermente e per un attimo arrossì di piacere. Gli occhi gli si illuminarono di gioia, come se per la prima volta
si fosse riconosciuto. Rimase immobile, stupito. Sentiva debolmente che Hallward gli diceva qualcosa, ma non capiva il
significato delle parole. Il senso della sua bellezza lo colpì come una rivelazione. Non se ne era mai reso conto, prima. I
complimenti di Basil Hallward gli erano sembrati solo le piacevoli esagerazioni di un amico; li aveva ascoltati, ne aveva
riso, li aveva dimenticati. Non avevano avuto nessuna influenza sul suo carattere. Poi era venuto Lord Henry Wotton
con quel suo strano panegirico sulla giovinezza e il terribile avvertimento della sua brevità. Sul momento la cosa lo
aveva colpito e ora, mentre contemplava l'ombra della propria bellezza, la piena realtà di quella descrizione lo attraversò
come un lampo. Sì, un giorno il suo volto sarebbe divenuto rugoso e avvizzito, gli occhi deboli e scoloriti, la grazia
della sua figura rotta e deforme. Le labbra avrebbero perduto il colore scarlatto, l'oro sarebbe scomparso dai capelli. La
vita, che avrebbe formato la sua anima, avrebbe distrutto il suo corpo. Sarebbe diventato orribile, ripugnante, goffo.
Mentre pensava a queste cose, un'acuta fitta di dolore lo attraversò come una coltellata, facendo rabbrividire
ogni nervo della sua delicata natura. Gli occhi assunsero un color ametista e li velò una nebbia di lacrime. Gli sembrò
che una mano di ghiaccio gli avesse stretto il cuore.
«Non ti piace?» esclamò finalmente Basil Hallward un poco colpito dal silenzio del giovane e non
comprendendone il motivo.
«Certo che gli piace,» disse Lord Henry. «A chi non piacerebbe? È una delle migliori opere dell'arte moderna.
Ti darò tutto quello che vorrai chiedermi. Devo averlo.»
«Non è mio, Harry.»
«E di chi é?»
«Di Dorian, naturalmente,» rispose il pittore.
«È davvero un individuo fortunato.»
«Che cosa triste!» mormorò Dorian Gray, sempre tenendo gli occhi fissi sul ritratto. «Che cosa triste! Io
diventerò vecchio, orribile, disgustoso, ma questo quadro resterà sempre giovane. Non sarà mai più vecchio di quanto è
oggi, in questa giornata di giugno... Se solo potesse essere il contrario! Se potessi io rimanere sempre giovane e
invecchiasse il quadro, invece! Per questo... per questo darei qualunque cosa! Sì, non c'è nulla al mondo che non darei!
Darei l'anima!»
«Non credo che saresti soddisfatto di un accordo del genere, Basil,» esclamò Lord Henry, ridendo. «Sarebbe
una brutta fine per il tuo quadro.»
«Sarei nettamente contrario, Harry,» disse Hallward.
Dorian Gray si voltò verso di lui e lo guardò. «Lo credo, Basil. Preferisci la tua arte ai tuoi amici. Per te non
valgo più di una statuetta di bronzo patinato. Anche meno, oserei dire.»
Il pittore lo guardò sconcertato. Era così insolito in Dorian un linguaggio simile. Che cosa era successo?
Sembrava piuttosto arrabbiato. Era rosso in volto e aveva le guance ardenti.
«Sì,» proseguì, «per te valgo meno del tuo Hermes d'avorio o del tuo fauno d'argento. Quelli ti piaceranno
sempre, ma per quanto ti piacerò io? Fino al giorno in cui mi apparirà la prima ruga, immagino. Adesso so che quando
si perde la bellezza, qualunque essa sia, si perde tutto. Me lo ha insegnato il tuo quadro. Lord Henry Wotton ha
perfettamente ragione. La giovinezza è l'unica cosa che vale la pena di possedere. Quando mi accorgerò di invecchiare
mi ucciderò.»
Hallward impallidì e gli afferrò la mano. «Dorian! Dorian!» esclamò, «non dire queste cose. Non ho mai avuto
un amico come te, e non ne avrò mai un altro. Tu non sei geloso delle cose materiali, non è vero? Tu che sei più bello di
tutte loro!»
«Sono geloso di tutto ciò la cui bellezza non muore. Sono geloso del ritratto che hai dipinto. Perché dovrebbe
conservare quello che io devo perdere? Ogni attimo che passa toglie qualcosa a me e dà qualcosa al ritratto. Oh, se solo
potesse accadere l'inverso! Se il quadro cambiasse e io potessi rimanere come sono adesso! Perché lo hai dipinto? Un
giorno mi deriderà... mi deriderà orribilmente!» Calde lacrime gli salirono agli occhi. Strappò la mano da quella di Basil
e, lasciatosi cadere sul divano, seppellì il volto tra i cuscini come se pregasse.
«Questo è opera tua, Harry,» disse il pittore amaramente.
Lord Henry scosse le spalle. «È il vero Dorian Gray... Tutto qui.»
«No, non è il vero Dorian Gray.»
«Se non lo è, io che cosa c'entro?»
«Avresti dovuto andartene quando te l'ho chiesto,» mormorò Basil.
«Sono rimasto quando me lo hai chiesto,» fu la risposta di Lord Henry.
«Harry, non posso litigare contemporaneamente con i miei due migliori amici, ma fra tutti e due mi avete fatto
odiare l'opera più bella che ho mai fatto e quindi la distruggerò. Che cos'è se non tela e colore? Non permetterò che si
metta tra le nostre tre vite e le rovini.»
Dorian Gray sollevò dai cuscini la testa dai capelli d'oro e guardò, pallido in viso e con gli occhi gonfi di
lacrime, il pittore che si avvicinava al tavolo di lavoro di abete, sistemato di fronte agli alti tendaggi della finestra. Che
cosa intendeva fare? Le sue dita vagavano alla ricerca di qualche cosa nella confusione di tubetti di stagno, di pennelli
asciutti. Sì, cercava la lunga spatola dalla sottile lama dì acciaio flessibile. Alla fine la trovò. Stava per fare a pezzi la
tela.
Con un singhiozzo soffocato il giovane balzò dal divano e, precipitatosi addosso a Hallward, gli strappò la
lama dalle mani e la gettò in fondo allo studio. «No, Basil, non farlo!» gridò. «Sarebbe un delitto!»
«Sono contento che finalmente tu apprezzi il mio lavoro, Dorian,» disse freddamente il pittore, quando si fu
ripreso dalla sorpresa. «Non l'avrei mai pensato.»
«Apprezzare il tuo lavoro? Ne sono innamorato, Basil. È parte di me, lo sento.»
«Bene, non appena sarai asciutto, ti vernicerò, ti metterò la cornice e ti manderò a casa. Allora potrai fare di te
stesso quello che più ti piacerà.» Attraversò la stanza e suonò il campanello per il tè. «Prendi il tè, naturalmente,
Dorian? E anche tu, Harry? O avete qualcosa da obiettare contro questi semplici piaceri?»
«Adoro i piaceri semplici,» disse Lord Henry. «Sono l'ultimo rifugio delle cose complicate. Ma non mi
piacciono le scenate fuorché sul palcoscenico. Che personaggi assurdi siete, tutti e due! Mi domando chi ha mai detto
che l'uomo è un animale ragionevole. È stata la definizione più prematura che sia stata data. L'uomo è molte cose, ma
non è ragionevole. Del resto, sono contento che non lo sia: avrei preferito che voi due, ragazzetti, non vi azzuffaste a
proposito del quadro. Sarebbe stato meglio se tu lo avessi dato a me, Basil. Questo stupido ragazzo in realtà non lo
desidera, mentre io sì»
«Se lo dai a qualcun altro, Basil, non ti perdonerò mai!» gridò Dorian Gray, «e non permetto a nessuno di
chiamarmi uno stupido ragazzo.»
«Sai che il quadro è tuo, Dorian. Te l'ho dato prima ancora che esistesse.»
«E lei sa di essere stato leggermente stupido, signor Gray, e sa anche che, in realtà, non le dà affatto fastidio
sentirsi ricordare che è molto giovane.»
«Avrei avuto moltissimo da obiettare questa mattina, Lord Henry.»
«Ah, questa mattina! Da allora lei ha vissuto.»
Si sentì bussare alla porta e il maggiordomo entrò reggendo il vassoio del tè che posò su un minuscolo tavolo
giapponese. Si udì il tintinnio delle tazze e dei piattini e il sibilo sommesso di un samovar georgiano. Un ragazzo
reggeva due ciotole di porcellana cinese. Dorian Gray si mosse e versò il tè. I due uomini si avvicinarono lentamente al
tavolino ed esaminarono che cosa c'era sotto i coperchi.
«Andiamo a teatro, stasera,» disse Lord Henry. «Deve esserci senz'altro qualcosa, da qualche parte. Ho
promesso di pranzare da White, ma si tratta solo di un vecchio amico e quindi posso avvertirlo con un telegramma che
sono malato o che non posso andare a causa di un impegno preso successivamente. Penso che questa sia una scusa
molto bella: avrebbe in sé tutta la sorpresa dell'innocenza.»
«È così noioso dover indossare l'abito da sera,» bofonchiò Hallward. «E poi quando lo si ha indossato è così
orrendo.»
«Sì,» rispose Lord Henry con aria sognante, «il modo di vestire del diciannovesimo secolo è detestabile. È così
scialbo, così deprimente. L'unico elemento di colore che sia rimasto nella vita moderna è il peccato.»
«Non dovresti proprio dire queste cose davanti a Dorian, Harry.»
«Davanti a quale Dorian? Quello che ci sta versando del tè o quello del quadro?»
«Davanti ad ambedue.»
«Mi piacerebbe venire a teatro con lei, Lord Henry,» disse il ragazzo.
«Venga, allora. E verrai anche tu, Basil, non è vero?»
«Proprio non posso. Preferirei di no. Ho molto lavoro da fare.»
«Bene, allora andremo noi due soli, signor Gray.»
«Mi farebbe moltissimo piacere.»
Il pittore si morse il labbro e tenendo la tazza in mano si avvicinò al ritratto. «Io resterò con il vero Dorian,»
disse tristemente.
«È proprio il vero Dorian?» esclamò, dirigendosi verso di lui, l'originale del ritratto. «Sono davvero cosi?»
«Sì, sei proprio così.»
«È meraviglioso, Basil!»
«Perlomeno in apparenza sei così. Ma il ritratto non cambierà mai,» sospirò Hallward. «È già qualcosa.»
«Quante storie si fanno sulla fedeltà!» esclamò Lord Henry. «Pensa, anche in amore è semplicemente una
questione di fisiologia. Non ha nulla a che fare con la nostra volontà. I giovani vorrebbero essere fedeli e non lo sono; i
vecchi vorrebbero essere infedeli e non possono. È tutto quello che se ne può dire.»
«Dorian, non andare a teatro questa sera,» disse Hallward. «Rimani qui a cena con me.»
«Non posso, Basil.»
«Perché?»
«Perché ho promesso a Lord Henry Wotton di andare con lui.»
«Non gli piacerai di più per il fatto di mantenere le tue promesse. Lui non mantiene mai le sue. Ti prego di non
andare.»
Il giovane esitò e lanciò un'occhiata in direzione di Lord Henry che, accanto al tavolino da tè, li stava
osservando con un sorriso divertito.
«Devo andare, Basil,» rispose.
«Molto bene,» disse Hallward. Si mosse e posò la tazza sul tavolino. «È piuttosto tardi e, dato che vi dovete
vestire, è meglio che non perdiate tempo. Arrivederci, Harry. Arrivederci Dorian. Venite presto a trovarmi. Domani.»
«Certamente.»
«Non te ne dimenticherai?»
«No, certamente no,» esclamò Dorian.
«E... Harry!»
«Sì, Basil?»
«Ricorda quello che ti ho chiesto questa mattina, quando eravamo in giardino.»
«Me ne sono dimenticato.»
«Mi fido di te.»
«Vorrei potermi fidare anch'io di me,» disse Lord Henry, ridendo. «Venga, signor Gray. La mia carrozza è qui
fuori e posso accompagnarla a casa. Arrivederci, Basil. È stato un pomeriggio molto interessante.»
Appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, il pittore si lasciò cadere su un divano e sul viso gli apparve
un'espressione di sofferenza.

III
Il giorno dopo, alle dodici e mezzo, Lord Henry Wotton fece una passeggiata da Curzon Street ad Albany per
trovare suo zio, Lord Fermor, uno scapolo allegro anche se di modi un po' bruschi, definito egoista dagli estranei,
perché da lui non traevano nessun particolare vantaggio, ma generoso dalla società, perché offriva il pranzo a chi lo
divertiva. Il padre era stato ambasciatore inglese a Madrid quando era giovane Isabella e non si pensava ancora a Prim,
ma si era poi ritirato dal corpo diplomatico per capriccio, seccato perché non gli era stata offerta l'ambasciata di Parigi,
posto che riteneva gli spettasse di diritto per la nascita, l'indolenza, il buon inglese dei suoi rapporti e la disordinata
passione per i piaceri. Il figlio, che era segretario del padre, aveva dato le dimissioni insieme al suo superiore, un po'
scioccamente come si pensò allora, e, avendo ereditato il titolo pochi mesi dopo, si era seriamente dedicato allo studio
della grande arte aristocratica di non fare assolutamente nulla. Possedeva due grandi case in città, ma preferiva vivere in
appartamenti d'affitto perché aveva meno seccature e pranzava quasi sempre al club. Dedicava qualche attenzione alla
direzione delle sue miniere di carbone nel Midland e si scusava di questo suo vizio industriale col dire che l'unico
vantaggio di possedere del carbone era che esso permetteva a un gentiluomo il decoro di bruciare legna nel caminetto.
In politica era conservatore, salvo quando i conservatori erano al governo. Allora li accusava esplicitamente di essere un
mucchio di radicali. Per il suo cameriere, che lo tiranneggiava, era un eroe e un terrore per la maggior parte dei suoi
parenti, che a sua volta tiranneggiava. Avrebbe potuto nascere solo in Inghilterra, e ripeteva di continuo che il paese
stava andando in malora. I suoi principi erano antiquati e anche a proposito dei suoi pregiudizi ci sarebbe stato molto da
dire.
Quando Lord Henry entrò nella stanza, trovò lo zio, con un ruvido abito da caccia, seduto in poltrona e intento
a fumare un sigaro brontolando sul Times. «Bene Henry,» disse il vecchio gentiluomo, «come mai sei uscito così
presto? Pensavo che voi dandies non vi alzaste mai prima delle due e che non vi si potesse vedere prima delle cinque.»
«Puro affetto familiare, ti assicuro, zio George. Ho bisogno di qualche cosa da te.»
«Soldi, immagino,» disse Lord Fermor assumendo un'espressione brusca. «Bene, siediti e parlamene.
Oggigiorno i giovani pensano che il denaro sia tutto.»
«Sì,» mormorò Lord Henry, slacciando il bottone della giacca, «e quando invecchiano se ne rendono conto. Ma
non voglio soldi. Solo la gente che paga i propri conti ne ha bisogno, zio George, e io, i miei, non li pago mai. Il credito
è il capitale di un figlio cadetto sul quale è possibile vivere piuttosto bene. Inoltre, tratto sempre con i negozianti di
Dartmoor e così non mi seccano mai. Vorrei una informazione, invece, non un'informazione utile naturalmente:
un'informazione inutile.»
«Bene, posso dirti qualunque cosa scritta in un Libro Azzurro inglese, Harry, anche se la gente oggi scrive un
sacco di assurdità. Quando ero in diplomazia, le cose andavano molto meglio. Ma sento che ora si viene ammessi per
concorso. Che cosa puoi aspettarti? Gli esami, signori, sono una farsa dall'inizio alla fine. Se uno è un gentiluomo, ne sa
quanto basta, e se non lo è, tutto quello che sa va a suo demerito.»
«Il signor Dorian Gray non è sui Libri Azzurri, zio George,» disse Lord Henry pianamente.
«Il signor Dorian Gray? E chi è?» domandò Lord Fermor aggrottando le folte sopracciglia bianche.
«È questo che volevo sapere da te, zio George. O piuttosto, so chi è. È il nipote dello scomparso Lord Kelso.
Sua madre era una Devereux, Lady Margaret Devereux. Voglio che mi parli di sua madre. Com'era? Chi ha sposato? Ai
tuoi tempi conoscevi quasi tutti e quindi dovresti saperlo. In questo momento il signor Dorian Gray mi interessa molto.
Lo conosco da pochissimo.»
«Il nipote di Kelso!» ripeté il vecchio gentiluomo. «Il nipote di Kelso!... Certo... conoscevo sua madre
intimamente. Mi pare che sia stato al suo battesimo. Era una ragazza straordinariamente bella, Margaret Devereux, e
lasciò tutti gli uomini costernati quando se ne scappò con un tipo senza una lira. Un nessuno, signori, un ufficiale
subalterno di un reggimento di fanteria o roba del genere. Certo. Ricordo tutta la storia come se fosse avvenuta ieri.
Quel povero giovanotto, rimase ucciso in un duello a Spa, pochi mesi dopo il matrimonio. Una brutta storia. Si disse
che Kelso aveva pagato un avventuriero delinquente, un animale belga perché insultasse in pubblico suo genero. Lo
pagò, signori, lo pagò perché facesse questo. E quel tizio infilò il suo uomo come un piccione. La cosa venne messa a
tacere ma, perdio, dopo questa faccenda, al club Kelso le sue bistecche per qualche tempo se le mangiò da solo. Riprese
la figlia con sé, ma lei non gli rivolse più la parola. Oh, sì, una brutta faccenda. Anche la ragazza morì, morì meno di un
anno dopo. E lasciò un figlio, non è vero? Me ne ero dimenticato. Com'è il ragazzo? Se assomiglia alla madre deve
esser un bel ragazzo.»
«È molto bello.»
«Spero che capiti in buone mani,» proseguì il vecchio, «Se Kelso nei suoi confronti si è comportato come si
deve erediterà un bel mucchio di soldi. Anche sua madre era ricca. Ereditò l'intera proprietà di Selby dal nonno. Il
nonno odiava Kelso. Lo considerava un bastardo. E del resto lo era. Venne una volta a Madrid, quando, io ero là.
Perdio, mi vergognai di lui. La regina mi domandava di continuo notizie di quel nobile inglese che litigava sempre sul
prezzo con i cocchieri. Era diventato un argomento diffuso di conversazione. Per un mese non osai mettere piede a
corte. Spero che abbia trattato il nipote meglio di quei vetturini.»
«Non so,» rispose Lord Henry. «Immagino che il ragazzo sia in buone condizioni economiche. Non è ancora
maggiorenne. So che è proprietario di Selby. Me lo ha detto lui. E... sua madre era bellissima?»
«Margaret Devereux era una delle creature più belle che io abbia mai visto Henry. Non riuscii mai a capire che
cosa la spinse a comportarsi in quel modo. Avrebbe potuto sposare chi voleva. Carlington era impazzito per lei. Però era
romantica, lo erano tutte le donne della sua famiglia. Gli uomini erano delle nullità, ma, perdio, le donne erano
meravigliose. Carlington andò da lei in ginocchio; me lo disse, lui stesso. Lei gli rise in faccia e a quel tempo a Londra
non c'era una ragazza che non gli desse la caccia. E, dato che stiamo parlando di matrimoni sciocchi, che cos'è questa
storia che mi ha riferito tuo padre a proposito di Dartmoor che vuole sposare un'americana? Le ragazze inglesi non sono
abbastanza buone per lui?»
«In questo momento è molto di moda sposare le americane, zio George.»
«Io sosterrò le donne inglesi contro tutto il mondo, Harry,» disse Lord Fermor, battendo il pugno sul tavolo.
«Si punta sulle americane.»
«Ma si dice che non durano,» bofonchiò lo zio.
«Non reggono alla distanza, ma nella corsa ad ostacoli non le batte nessuno. Prendono le cose al volo. Non
credo che Dartmoor abbia nessuna possibilità di cavarsela.»
«Chi sono i suoi genitori?» brontolò il vecchio. «Ne ha, perlomeno?»
«Le ragazze americane sono brave nel nascondere i genitori tanto quanto le donne inglesi nel nascondere il loro
passato,» disse alzandosi per andarsene.
«Immagino che vendano carne di maiale in scatola.»
«Lo spero, zio George, nell'interesse di Dartmoor. Mi si dice che inscatolare il maiale è in America la
professione più lucrosa, dopo la politica.»
«È graziosa?»
«Si comporta come se fosse bella. Quasi tutte le americane lo fanno: è il segreto del loro fascino.»
«E perché non se ne possono stare nel loro paese queste americane? Non fanno altro che ripeterci che è il
paradiso delle donne.»
«È vero. Proprio per questo, come Eva, sono eccessivamente ansiose di uscirne,» disse Lord Henry.
«Arrivederci, zio George. Se rimango ancora farò tardi a colazione. Grazie per avermi dato le informazioni che volevo
sapere. Mi piace sempre saper tutto dei miei nuovi amici e nulla dei vecchi.»
«Da chi sei a colazione?»
«Da zia Agatha. Le ho chiesto di invitarmi insieme al signor Gray: è il suo ultimo protegé
«Uff! Devi dire alla tua zia Agatha di non seccarmi più con le sue richieste per beneficenza. Mi danno la
nausea. Quella brava donna pensa che io non abbia di meglio da fare che firmare assegni per i suoi stupidi capricci.»
«D'accordo, zio George, glielo riferirò, ma sarà inutile. I filantropi perdono ogni senso di umanità: è la loro
caratteristica distintiva.»
Il vecchio gentiluomo emise un grugnito di approvazione e suonò per il cameriere. Lord Henry passò sotto la
bassa arcata che immette in Burlington Street e si incamminò verso Berkeley Square.
Questa dunque era la storia della famiglia di Dorian Gray. Nonostante la crudezza con cui gli era stata riferita,
lo attirava per questa sua atmosfera insolitamente moderna e romantica. Una bella donna che metteva tutto a repentaglio
per una passione folle. Poche settimane di sfrenata felicità, troncate da un delitto vile e odioso. Dopo mesi di silenziosa
sofferenza, un figlio nato nel dolore. La madre strappata via dalla morte, il figlio abbandonato alla solitudine e alla
tirannia di un vecchio incapace di amore. Sì, un passato interessante: inquadrava il giovane, lo rendeva per così dire più
perfetto. Dietro ogni cosa squisita c'era sempre qualcosa di tragico. Interi mondi dovevano agire per far fiorire un
minuscolo fiore... E quanto era stato affascinante la sera prima, durante la cena al club, seduto di fronte a lui con gli
occhi stupiti, le labbra socchiuse in uno stato di gioia e di timore. I paralumi rossi diffondevano un rosa più intenso sulla
nascente meraviglia del suo viso. Parlare con lui era come suonare un meraviglioso violino: rispondeva a ogni tocco, a
ogni fremito dell'archetto... c'era qualcosa di tremendamente esaltante nell'esercitare la propria influenza. Nessun'altra
attività la eguagliava. Proiettare la propria anima in una forma piena di grazia e lasciarvela indugiare per un momento;
sentir ritornare l'eco delle nostre idee insieme a tutta la musica della passione e della giovinezza; trasferire il proprio
temperamento in un'altra persona come se fosse un fluido sottile o uno strano profumo. C'era una vera gioia in tutto ciò:
forse la più completa che ci sia rimasta in un'epoca limitata e volgare come la nostra, un'epoca grossolanamente carnale
nei suoi piaceri, grossolanamente volgare nelle sue ambizioni... Ed era anche un personaggio meraviglioso, questo
ragazzo incontrato nello studio di Basil in un'occasione così insolita; o, comunque, lo si sarebbe potuto trasformare in
un personaggio meraviglioso. Possedeva la grazia e la bianca purezza dell'infanzia e una bellezza simile a quella che ci
hanno serbato i grandi marmi greci. Di lui si sarebbe potuto fare qualsiasi cosa: lo si poteva rendere un titano o un
giocattolo. Che peccato che una bellezza simile fosse destinata ad appassire!... E Basil? Quant'era interessante da un
punto di vista psicologico! Questo suo nuovo stile, questo suo nuovo modo di guardare la vita, suggeriti così
stranamente dalla semplice presenza di un giovane che non ne aveva la minima consapevolezza; lo spirito silenzioso
che abita nella penombra dei boschi e che si avventura non visto tra i campi aperti, gli era apparso improvvisamente
come una driade, senza timori perché, nella sua anima che lo cercava, si era risvegliata quella meravigliosa percezione a
cui soltanto si rivelano le cose meravigliose; le mere forme e strutture delle cose che, per così dire, si vanno affinando e
acquistano una sorta di valore simbolico, come se esse stesse fossero modelli di altre forme più perfette la cui ombra
rendevano reale. Quant'era strano tutto questo! Ricordava qualcosa di simile nella storia. Non era forse Platone, l'artista
del pensiero, che l'aveva analizzato per primo? Non era forse Michelangelo che lo aveva scolpito nei marmi colorati di
un sonetto? Ma nel nostro secolo era strano... Sì, avrebbe cercato di essere per Dorian Gray quello che il ragazzo era per
il pittore che aveva dipinto quel meraviglioso ritratto. Avrebbe cercato di dominarlo... e, in realtà, a metà ci era riuscito.
Avrebbe fatto suo quel meraviglioso spirito. C'era qualcosa di affascinante in quel figlio dell'amore e della morte.
D'improvviso si fermò e diede un'occhiata alle cose. Si accorse di aver oltrepassato di un pezzo la casa di sua
zia e, sorridendo di sé, ritornò sui suoi passi. Quando entrò nel vestibolo un po' buio, il maggiordomo lo avvertì che il
pranzo era già iniziato. Consegnò bastone e cappello a uno dei valletti ed entrò in sala da pranzo.
«In ritardo come al solito, Harry,» esclamò la zia scuotendo il capo.
Inventò senza difficoltà una scusa e, dopo essersi accomodato nella sedia vuota accanto a lei, si guardò intorno
per vedere chi c'era. Dal fondo della tavola, Dorian gli fece un timido inchino, arrossendo di piacere. Di fronte a lui
c'era la duchessa di Harley, una signora di ottimo carattere e di ottima salute che piaceva molto a tutti quelli che la
conoscevano, dotata di quelle imponenti proporzioni architettoniche che gli storici contemporanei, nelle donne che non
sono duchesse, definiscono pinguedine. Alla sua destra sedeva Sir Thomas Burdon, membro radicale del Parlamento
che nella vita pubblica seguiva il suo leader e nella vita privata i migliori cuochi: pranzava coi conservatori e pensava
con i liberali, secondo una saggia e ben nota regola. Il posto alla sinistra della duchessa era occupato dal signor Erskine
di Treadley, un vecchio gentiluomo di notevole fascino e cultura che, tuttavia, aveva preso la cattiva abitudine di tacere
perché, come aveva spiegato una volta a zia Agatha, tutto quello che aveva da dire lo aveva detto prima dei trent'anni.
La sua vicina era la signora Vandelour, una delle più vecchie amiche di zia Agatha, santa tra le donne, ma vestita
talmente male che faceva pensare a un libro di preghiere mal rilegato. Fortunatamente per il signor Erskine, accanto alla
signora Vandelour era seduto Lord Faudel, un'intelligentissima mediocrità, vivace come una relazione ministeriale alla
Camera dei Comuni, con il quale la donna stava parlando in quel tono estremamente serio che, come aveva notato una
volta, era l'unico imperdonabile errore in cui cadono tutte le persone davvero buone, e al quale nessuna di loro riesce a
sfuggire.
«Stavamo parlando di quel povero Dartmoor, Lord Henry,» esclamò la duchessa facendogli un cenno affabile
attraverso la tavola. «Lei pensa che voglia davvero sposare quella bella ragazza?»
«Penso, duchessa, che lei abbia deciso di chiedergli la sua mano.»
«Che cosa terribile!» esclamò Lady Agatha. «Davvero, qualcuno dovrebbe intervenire.»
«Ho saputo da ottima fonte che il padre ha un negozio di manufatti americani,» disse Sir Thomas Burdon in
tono arrogante.
«Mio zio poco fa ha suggerito che forse produce maiale in scatola, Sir Thomas.»
«Manufatti americani! Che cosa sono i manufatti americani?» domandò la duchessa, sollevando le grandi mani
in un gesto di meraviglia calcando il tono sul verbo.
«Romanzi americani,» rispose Lord Henry servendosi qualche quaglia.
La duchessa parve perplessa.
«Non dargli retta, cara,» sussurrò Lady Agatha. «Non parla mai sul serio.»
«Quando l'America fu scoperta,» disse il deputato radicale e cominciò a esporre alcuni fatti tediosi. Come tutti
coloro che cercano di esaurire un argomento, esauriva i suoi ascoltatori. La duchessa sospirò ed esercitò il suo privilegio
d'interruzione. «Vorrei proprio che non fosse mai stata scoperta!» esclamò. «Davvero, le nostre ragazze non hanno più
possibilità al giorno d'oggi. È terribilmente ingiusto.»
«Forse, dopotutto, l'America non è mai stata scoperta,» disse il signor Erskine. «Secondo me, è stata
semplicemente identificata.»
«Oh, ma io ho visto qualche esemplare delle abitanti,» rispose la duchessa in tono vago. «Devo confessare che
la maggior parte Sono molto graziose. E inoltre sono ben vestite. Comperano tutti i loro abiti a Parigi. Vorrei poter fare
altrettanto.»
«Si dice che gli americani buoni, quando muoiono, vadano a Parigi,» ridacchiò Sir Thomas che aveva un ben
fornito repertorio di battute stantie.
«Davvero! E dove vanno gli americani cattivi quando muoiono?» domandò la duchessa.
«Vanno in America,» mormorò Lord Henry.
Sir Thomas aggrottò le sopracciglia. «Temo che suo nipote nutra dei pregiudizi su questo grande paese,» disse
rivolto a Lady Agatha. «Io l'ho percorso tutto in vetture messe a mia disposizione dalle autorità che, sotto questo
aspetto, sono estremamente civili. Le assicuro che è un viaggio estremamente educativo.»
«Ma a scopo educativo dovremmo proprio visitare Chicago?» domandò lamentosamente il signor Erskine.
«Non me la sento di fare il viaggio.»
Sir Thomas agitò una mano. «Il signor Erskine di Treadley ha il mondo nella sua libreria. A noi, persone
pratiche, piace vedere direttamente le cose, non leggerne. Gli americani sono un popolo estremamente interessante.
Sono dotati di uno spiccato buonsenso. Penso che questa sia la loro principale caratteristica. Sì, signor Erskine, sono
dotati di uno spiccato buonsenso. Le assicuro che non fanno mai stupidaggini.»
«Che cosa orrenda!» esclamò Lord Henry. «Posso sopportare la forza bruta, ma la ragione bruta è
assolutamente insopportabile. C'è un che di sleale nel farne uso. È come tirare un colpo basso all'intelletto.»
«Non la capisco,» disse Sir Thomas arrossendo alquanto.
«Io sì, Lord Henry,» mormorò con un sorriso il signor Erskine.
«I paradossi, a modo loro, vanno tutti molto bene...» ritorse il baronetto.
«Era un paradosso?» domandò il signor Erskine. «A me non sembra. Forse lo era. Ecco, la via dei Paradossi è
anche la via della verità. Per saggiare la realtà dobbiamo farla camminare sulla corda tesa. Quando le verità si fanno
acrobati, possiamo darne un giudizio.»
«Santo cielo,» disse Lady Agatha, «in che modo discutete, voi uomini! Non riesco mai a capire di che cosa
stiate parlando. Oh, Harry, sono piuttosto arrabbiata con te. Perché cerchi di convincere il nostro caro signor Dorian
Gray a lasciar perdere l'East End? Ti assicuro che sarebbe un elemento prezioso. Lo ascolterebbero suonare con molto
piacere.»
«Voglio che suoni per me,» disse Lord Henry, sorridendo. Lanciò una breve occhiata verso l'estremità della
tavola e colse uno sguardo radioso in risposta.
«Ma sono così infelici a Whitechapel,» insistette Lady Agatha.
«Posso aver compassione per tutto tranne che per la sofferenza,» disse Lord Henry, scuotendo le spalle. «Per la
sofferenza proprio non posso: è troppo brutta, troppo orribile, troppo tormentosa. Nella simpatia odierna per il dolore c'è
qualcosa di tremendamente morboso. Si dovrebbe solidarizzare con il colore, con la bellezza, con la gioia di vivere.
Quanto meno si parla dei dolori della vita, tanto meglio.»
«Tuttavia l'East End rimane un problema importante,» notò Sir Thomas scuotendo gravemente il capo.
«Certo,» rispose il giovane Lord. «È il problema della schiavitù e noi cerchiamo di risolverlo divertendo gli
schiavi.»
L'uomo politico lo fissò. «E allora che cambiamenti proporrebbe lei?»
Lord Henry rise. «Non desidero cambiare nulla in Inghilterra, salvo il clima,» rispose. «Mi basta e mi soddisfa
la contemplazione filosofica ma, dato che il diciannovesimo secolo è fallito per troppa compassione, suggerisco di
rivolgersi alla scienza perché ci rimetta in strada. Le emozioni hanno il vantaggio di condurci fuori strada, mentre il
vantaggio della scienza è quello di essere priva di emozioni.»
«Ma abbiamo delle così grandi responsabilità,» azzardò timidamente la signora Vandelour.
«Tremendamente gravi,» fece eco Lady Agatha.
Lord Henry spostò lo sguardo sul signor Erskine.
L'umanità si prende troppo sul serio. È il peccato originale del mondo. Se l'uomo delle caverne fosse stato
capace di ridere, la storia sarebbe stata diversa.»
«Lei mi consola moltissimo,» cinguettò la duchessa. «Ogni volta che vengo a trovare sua zia mi sento sempre
in colpa perché non provo nessun interesse per l'East End. In futuro potrò guardarla in faccia senza arrossire.»
«Il rossore dona molto, duchessa,» fece notare Lord Henry.
«Solo quando si è giovani,» lei rispose. «Quando una vecchia come me arrossisce è un gran brutto segno. Ah,
Lord Henry, vorrei che lei mi insegnasse come si fa a tornare giovani.»
Lord Henry rifletté un momento. «Riesce a ricordare qualche grosso errore commesso in gioventù, duchessa?»
le domandò, guardandola attraverso la tavola.
«Moltissimi, temo,» esclamò la duchessa.
«E allora tornate a commetterli,» disse Lord Henry gravemente. «Per ritornare giovani, basta ripetere le proprie
follie.»
«Una teoria deliziosa!» esclamò la duchessa. «Devo metterla in pratica.»
«Una teoria pericolosa!» uscì dalle labbra tese di Sir Thomas. Lady Agatha scosse il capo ma suo malgrado si
divertiva. Il signor Erskine ascoltava.
«Sì» proseguì, «questo è uno dei grandi segreti della vita. Al giorno d'oggi la maggior parte della gente muore
come se fosse subdolamente colpita da un attacco di buon senso. Solo quando è troppo tardi si accorge che le uniche
cose che non si rimpiangono sono le proprie follie.»
Una risata corse per la tavola.
Giocò con l'idea, appassionandosi. La lanciò per aria trasformandola, se la lasciò sfuggire e la ricatturò, la rese
iridescente con la fantasia, le diede le ali del paradosso. Proseguì, e l'elogio della follia si elevò a filosofia, la filosofia
stessa ritornò giovane e, catturata dalla folle musica del piacere, indossando, come si potrebbe immaginare, una tunica
macchiata di vino e cinta d'edera, danzò come una baccante sui monti della vita, sbeffeggiando la sobrietà del pigro
Sileno. Dinnanzi a lei i fatti fuggivano come spaventate creature della foresta e i suoi bianchi piedi pigiavano
nell'enorme tino accanto al quale siede il saggio Omar, finché lo spumeggiante succo dell'uva sali attorno alle gambe
nude in onde di bolle purpuree o sotto forma di rossa schiuma traboccò dagli scuri fianchi inclinati e gocciolanti del
tino. Era una straordinaria improvvisazione. Lord Henry sentiva fissi su di sé gli occhi di Dorian Gray e la
consapevolezza che nell'uditorio c'era una persona che desiderava affascinare sembrava rendere più incisivo il suo
spirito e dar colore alla sua fantasia. Era brillante, fantastico, irresponsabile. Affascinava gli ascoltatori che, dimentichi
di sé, seguivano ridendo il suo flauto. Dorian Gray non gli toglieva lo sguardo di dosso ma se ne stava seduto, come
preso da un incantesimo. Sulle sue labbra i sorrisi si susseguivano, la meraviglia si faceva sempre più intensa sui suoi
occhi scuri. Alla fine, la realtà, indossando una livrea del tempo, si presentò nella sala impersonata da un domestico per
annunciare alla duchessa che la carrozza la stava attendendo. La duchessa si torse le mani in un gesto di finta
disperazione. «Che seccatura,» esclamò. «Devo andare. Devo passare a prendere mio marito al club per accompagnarlo
a qualche assurda riunione che lui dovrà presiedere da Willi's Rooms. Se faccio tardi, di sicuro si infurierà e non posso
sostenere una scenata con questo cappello. È troppo delicato. Una sola parola dura basterebbe per rovinarlo. No, devo
andare, cara Agatha. Arrivederci, Lord Henry, lei è assolutamente delizioso e terribilmente deprimente. Sono certa di
non sapere che cosa obiettare alle sue opinioni. Deve venire a pranzo da noi qualche sera. Martedì? È libero martedì?»
«Per lei, duchessa, passerei sopra chiunque,» disse Lord Henry con un inchino.
«Ah! Questo è molto bello e anche molto brutto da parte sua,» esclamò la duchessa. «Quindi ricordi di venire,»
e scivolò fuori dalla stanza seguita da Lady Agatha e dalle altre signore.
Appena Lord Henry si fu nuovamente seduto, il signor Erskine girò attorno alla tavola e, presa una sedia
accanto a lui, gli posò una mano sul braccio.
«Lei, parlando, getta via libri interi,» disse; «perché non ne scrive uno?»
«Mi piace troppo leggere i libri per darmi la pena di scriverne, signor Erskine. Certo, mi piacerebbe scrivere un
romanzo; un romanzo grazioso come un tappeto persiano e altrettanto irreale. Ma in Inghilterra esiste un pubblico solo
per i giornali, per i libri per ragazzi e le enciclopedie. Di tutti i popoli del mondo, quello inglese è il meno dotato del
senso della bellezza letteraria.»
«Temo che lei abbia ragione,» rispose il signor Erskine. «Anch'io avevo ambizioni letterarie ma le ho lasciate
perdere molto tempo fa. E ora, mio caro giovane amico, se lei mi permette di chiamarla così, posso chiederle se crede
davvero a tutto ciò che ha detto a tavola?»
«Me ne sono completamente dimenticato,» sorrise Lord Henry. «Era così brutto?»
«Sì, molto brutto. In realtà la ritengo una persona molto pericolosa e, se alla nostra buona duchessa dovesse
succedere qualche cosa, vedremmo in lei il principale responsabile. Ma mi piacerebbe parlare della vita con lei. La
generazione nata con me era noiosa. Un giorno, quando lei sarà stanco di Londra, venga a trovarmi a Treadley e mi
spieghi la sua teoria del piacere davanti a una straordinaria bottiglia di Borgogna che ho la fortuna di possedere.»
«Ne sarò felice. Una visita a Treadley sarebbe un grande privilegio. Troverei un ospite perfetto e una perfetta
biblioteca.»
«Lei completerà il tutto,» rispose il vecchio gentiluomo con un cortese inchino. «E ora sono costretto a salutare
la sua eccellente zia. Mi attendono all'Athenaeum. È, l'ora in cui andiamo a dormire là.»
«Tutti voi, signor Erskine?»
«Tutti e quaranta. In quaranta poltrone. Stiamo facendo pratica per l'Accademia Britannica di Lettere.»
Lord Henry rise e si alzò. «Io me ne andrò al Park,» esclamò.
Mentre stava uscendo, Dorian Gray gli toccò il braccio. «Mi permetta di venire con lei,» mormorò.
«Pensavo che lei avesse promesso a Basil Hallward di andare a trovarlo,» rispose Lord Henry.
«Preferisco venire con lei. Sì, sento di dover venire con lei. Me lo permetta. E mi promette di parlare per tutto
il tempo? Nessuno parla in modo così stupendo.»
«Ah! Ho parlato abbastanza per oggi,» disse Lord Henry, sorridendo. «Adesso desidero solo osservare la vita.
Può osservarla con me, se lo desidera.»

IV
Un pomeriggio, un mese dopo, Dorian Gray era sdraiato in una lussuosa poltrona nella piccola biblioteca della
casa di Mayfair di Lord Henry. Era a suo modo una stanza molto graziosa, con l'alto rivestimento a pannelli di quercia
verde oliva, le decorazioni color avorio e il soffitto a stucchi. Sulla moquette rosso mattone erano stesi tappeti persiani
dalle lunghe frange di seta. Su un minuscolo tavolino di legno lucido era posata una statuetta di Clodion e, accanto, una
copia di Les Cent Nouvelles rilegata per Margherita di Valois da Clovis Eve e ornata con la margherita d'oro che la
regina aveva scelto come stemma. Sulla mensola del caminetto erano disposti alcuni grossi vasi di porcellana azzurra
con tulipani a pappagallo, e dai vetri piombati della finestra entrava la luce color albicocca di una giornata estiva
londinese.
Lord Henry non era ancora arrivato. Era sempre in ritardo per principio, ritenendo che la puntualità ruba il
tempo. Il ragazzo appariva quindi piuttosto annoiato mentre, con dita svogliate, sfogliava le pagine di un'edizione
riccamente illustrata di Manon Lescaut che aveva trovato in uno degli scaffali. Il monotono ticchettio regolare di un
orologio Luigi XIV lo infastidiva. Per un paio di volte pensò di andarsene.
Alla fine sentì dei passi fuori e la porta si aprì. «Come sei in ritardo, Harry!» mormorò.
«Temo che non sia Harry, signor Gray,» rispose una voce, acuta.
Dorian si guardò in giro rapidamente e si alzò in piedi.
«Mi scusi, pensavo...»
«Pensava si trattasse di mio marito. Sono soltanto sua moglie. Permetta che, mi presenti da sola. La conosco
benissimo attraverso le fotografie. Credo che mio marito ne abbia diciassette.»
«Non diciassette, Lady Wotton.»
«Saranno diciotto, allora. Inoltre l'ho vista con lui l'altra sera all'opera.» Parlando rideva nervosamente e lo
fissava con gli occhi di un incerto color pervinca. Era una donna: strana che indossava abiti che parevano sempre
disegnati in un accesso di rabbia e indossati durante una tempesta. Era sempre innamorata di qualcuno e, dato che la sua
passione, non era mai corrisposta, aveva mantenute intatte tutte le sue illusioni. Cercava di essere pittoresca, ma riusciva
soltanto a sembrare sciatta. Si chiamava Victoria e aveva la mania di andare in chiesa.
«È stato al Lohengrin, Lady Wotton, non è vero?»
«Sì, il mio diletto Lohengrin. La musica di Wagner mi piace più di ogni altra. È così rumorosa che si può
parlare per tutto il tempo senza che gli altri capiscano ciò che si dice. È un grande vantaggio, non le pare, signor Gray?»
Lo stesso riso sincopato e nervoso eruppe dalle labbra sottili. Le sue dita presero a giocherellare con un lungo
tagliacarte di tartaruga.
Dorian sorrise e scosse il capo: «Mi dispiace, ma non sono d'accordo, Lady Wotton. Non parlo mai durante la
musica, perlomeno non durante la buona musica. Quando si ascolta della cattiva musica è un dovere affogarla nella
conversazione.»
«Ah! Questa è una delle idee di Harry, vero, signor, Gray? Le idee di mio marito le vengo a sapere attraverso i
suoi amici. È l'unico modo che ho per conoscerle. Ma non deve credere che non mi piaccia la buona musica. La adoro,
ma ne ho paura: mi rende troppo romantica. Ho semplicemente adorato i pianisti... due alla volta, in qualche caso,
secondo quanto dice Harry. Non so cosa ci sia in loro. Forse perché sono stranieri. Lo sono tutti, non è vero? Anche
quelli nati in Inghilterra diventano stranieri dopo qualche tempo, non le pare? È una cosa così intelligente da parte loro,
e un così grande complimento per l'arte. La rende del tutto cosmopolita, non è vero? Lei non è mai venuto a nessuno dei
miei party, vero, signor Gray? Deve venirci. Non posso permettermi le orchidee, ma per gli stranieri non bado a spese.
Danno un'aria così pittoresca alla casa! Ma ecco Harry... Harry, sono entrata a cercarti per chiederti qualche cosa, non
ricordo che cosa, e ho trovato il Signor Gray. Abbiamo fatto una piacevolissima chiacchierata sulla musica. Abbiamo le
stesse idee. No, credo che le nostre idee siano completamente diverse, ma lui è stato molto gentile. Sono così contenta
di averlo conosciuto.»
«Ne sono felice, tesoro, molto felice,» disse Lord Henry, inarcando le curve sopracciglia scure e guardandoli
con un sorriso divertito. «Mi dispiace tanto di essere in ritardo, Dorian. Sono andato a cercare una pezza di broccato
antico in Wardour Street e ho dovuto contrattare per ore intere. Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e non conosce il
valore di nulla.»
«Mi dispiace ma devo andare,» disse Lady Wotton, rompendo, con una delle sue sciocche, improvvise risate,
un silenzio imbarazzante. «Ho promesso di andare in carrozza con la duchessa. Arrivederci, signor Gray. Arrivederci,
Harry. Ceni fuori, immagino. Anch'io. Forse ci vedremo da Lady Thornbury.»
«Penso anch'io, cara,» disse Lord Henry chiudendo la porta alle sue spalle, mentre la donna scivolava fuori
dalla stanza come un uccello del paradiso rimasto tutta la notte sotto la pioggia e lasciando dietro di sé un leggero odore
di frangipane. Quindi accese una sigaretta e si accomodò sul divano.
«Non sposare mai una donna con i capelli color paglia, Dorian,» disse, dopo qualche boccata.
«Perché, Harry?»
«Perché sono troppo sentimentali.»
«Ma a me piacciono le persone sentimentali.»
«Non sposarti affatto, Dorian. Gli uomini si sposano perché sono stanchi, le donne perché sono curiose e
ambedue rimangono delusi.»
«Non credo che mi sposerò facilmente, Harry. Sono troppo innamorato. È uno dei tuoi aforismi. Lo sto
mettendo in pratica, come faccio per tutto quello che dici.»
«Di chi sei innamorato?» domandò Lord Henry dopo, una pausa.
«Di un'attrice,» disse Dorian Gray arrossendo.
Lord Henry scosse le spalle. «È un début piuttosto banale.»
«Non diresti così se la conoscessi, Harry.»
«Di chi si tratta?»
«Si chiama Sibyl Vane.»
«Mai sentita nominare.»
«Nessuno l'ha mai sentita nominare, ma un giorno la gente la conoscerà. È un genio.»
«Mio caro ragazzo, nessuna donna è un genio. Le donne sono un sesso decorativo. Non hanno mai nulla da
dire, ma lo dicono con grazia. Le donne rappresentano il trionfo della materia sull'intelletto, proprio come gli uomini
rappresentano il trionfo dell'intelletto sulla morale.»
«Harry, come puoi dire una cosa simile?»
«Mio caro Dorian, è assolutamente vero. In questo periodo sto analizzando le donne e quindi dovrei saperlo.
L'argomento non è poi così astruso come ritenevo un tempo. Ho scoperto che, in definitiva, ci sono solo due tipi di
donne, quelle semplici e quelle che si truccano. Le donne semplici sono molto utili. Se vuoi farti la reputazione di
persona rispettabile, devi solo uscire con loro a cena. Le altre donne sono molto affascinanti, ma commettono un errore:
si truccano per cercare di essere e di apparire giovani. Le nostre nonne si truccavano per cercare di essere di spirito e di
parlare con spirito. Il rouge e l'ésprit viaggiavano di conserva, allora. Adesso è tutto finito. Finché una donna riesce a
dimostrare dieci anni di meno di sua figlia è completamente soddisfatta. Per quanto riguarda la conversazione, poi, ci
sono solo cinque donne a Londra con cui valga la pena di parlare e due di loro non possono essere accolte nella buona
società. Comunque, parlami del tuo genio. Da quanto tempo la conosci?»
«Ah, Harry! Le tue opinioni mi fanno paura.»
«Non farci caso. Da quanto tempo la conosci?»
«Da tre settimane circa.»
«E come l'hai incontrata?»
«Te lo racconterò, Harry, ma devi essere comprensivo. Dopo tutto, non sarebbe mai successo se non ti avessi
incontrato. Mi hai riempito di un folle desiderio di conoscere tutto della vita. Per giorni e giorni, dopo averti incontrato,
mi sembrava che qualcosa mi pulsasse nelle vene. Mentre passavo il tempo al Park, o quando passeggiavo per
Piccadilly, guardavo tutti quelli che incontravo e mi chiedevo con una folle curiosità, quale tipo di vita facessero.
Alcuni mi affascinavano, altri mi riempivano di terrore. Nell'aria c'era uno squisito veleno. Ero innamorato delle
sensazioni... Bene, una sera verso le sette decisi di andare in cerca di qualche avventura. Sentivo che questa nostra
Londra mostruosa e grigia, con la sua miriade di persone, i suoi peccatori sordidi e i suoi splendidi peccati, come una
volta l'hai definita, doveva avere qualcosa in serbo per me. Immaginai mille cose, la semplice sensazione del pericolo
mi dava un senso di piacere. Ricordavo quello che mi avevi detto quella sera meravigliosa, la prima volta che cenammo
insieme, sul fatto che la ricerca della bellezza è il vero segreto della vita. Non so che cosa mi aspettassi, ma uscii di casa
e mi diressi verso est. Mi smarrii quasi subito in un labirinto di stradine buie e di piazze nere e senza aiuole. Verso le
otto e mezzo passai davanti ad un assurdo teatrino, con grandi lampade a gas ed enormi manifesti. In piedi, davanti
all'ingresso, un ignobile ebreo che indossava il panciotto più stupefacente che mi sia mai capitato di vedere, fumava un
sigaro di poco prezzo. Aveva dei riccioli unti e sul petto della camicia inamidata riluceva un enorme diamante. "Vuole
un palco, mylord?" domandò quando mi vide, togliendosi il cappello con un gesto straordinariamente servile. C'era in
lui qualcosa, Harry, che mi divertiva: era talmente mostruoso. Riderai di me, lo so, ma entrai davvero e pagai un'intera
ghinea per il palco. Ancora oggi non riesco a capire perché lo feci; e tuttavia se non lo avessi fatto, mio caro Harry, se
non lo avessi fatto, avrei perduto la più grande avventura sentimentale della mia vita. Vedo che ridi: è molto brutto da
parte tua!»
«Non sto ridendo, Dorian; perlomeno, non sto ridendo di te. Ma non dovresti dire la più grande avventura
sentimentale della tua vita. Dovresti dire la prima avventura sentimentale della tua vita. Tu verrai sempre amato e sarai
sempre innamorato dell'amore. Una grande passion è privilegio di chi non ha nulla da fare, l'unico scopo delle classi
pigre di un paese. Non temere, ci sono cose squisite in serbo per te. Questo è solo l'inizio.»
«Credi che la mia natura sia così superficiale?» esclamò arrabbiato Dorian Gray.
«No, credo che sia molto profonda.»
«Che cosa vuoi dire ?»
«Mio caro ragazzo, le persone superficiali sono quelle che amano una sola volta nella loro vita. Quella che essi
chiamano lealtà o fedeltà, io la chiamo o letargia dell'abitudine o mancanza d'immaginazione. La fedeltà è, per la vita
emotiva, quello che la coerenza è per la vita intellettuale: una semplice confessione di fallimento. Fedeltà! Un giorno
dovrò analizzarla. C'è in essa l'amore per il possesso. Ci sono molte cose che getteremmo via se non temessimo che
altri, se ne impadronissero. Ma non voglio interromperti. Continua la tua storia.»
«Bene, mi ritrovai seduto in un orrendo palchetto, con un sipario di pessimo gusto davanti agli occhi. Diedi
un'occhiata da dietro le tende e osservai il locale. Era una cosa di pessimo gusto, tutto amorini e cornucopie, come, una
torta nuziale di terza categoria. Il loggione e la platea erano quasi al completo, ma le due file di poltrone consunte erano
completamente vuote e in quelli che immagino chiamino i distinti c'era al massimo una persona. Alcune donne
andavano in giro vendendo arance e birra e si faceva un gran consumo di noccioline.»
«Doveva essere proprio come ai bei tempi della commedia inglese.»
«Proprio così, immagino, è molto deprimente. Cominciai a domandarmi che cosa fare, quando mi capitò sotto
gli occhi il programma. Che cosa pensi che rappresentassero, Harry?»
«L'Idiota, ovvero Sordo ma Innocente, immagino. Credo che ai nostri padri questo genere di commedia
piacesse. Quanto più vivo, Dorian, tanto più avverto la sensazione che quel che andava bene per i nostri padri, non va
più bene per noi. Nell'arte, come nella politica, les grand-pères ont toujours tort
«Lo spettacolo andava bene anche per noi, Harry. Era "Giulietta e Romeo". Devo ammettere che ero piuttosto
seccato all'idea di vedere una rappresentazione di Shakespeare in un teatro così scalcinato ma, tuttavia, in un certo qual
modo la cosa mi interessava. Decisi comunque di attendere la fine del primo atto. C'era un'orchestra tremenda diretta da
un giovane ebreo che sedeva a un pianoforte sgangherato. Quasi mi spinse, ad andarmene, ma finalmente il sipario si
alzò e cominciò lo spettacolo. Romeo era un signore anziano e massiccio con le sopracciglia dipinte, una tragica voce
raschiante e la figura di un barile di birra. Mercuzio era più o meno allo stesso livello. Lo interpretava un guitto che nel
testo aveva inserito delle battute sue ed era in ottimi rapporti con la platea. Erano ambedue grotteschi, come le scene
che sembravano tirate fuori da un baraccone. Ma Giulietta! Harry! Immagina un ragazza di neppure diciassett'anni, con
un visino come un fiore, una testolina greca con una pettinatura elaborata di riccioli castano scuri, occhi come pozzi
viola di passione, labbra come petali di rosa. Era la creatura più bella che avessi visto in vita mia. Una volta mi hai detto
che il pathos non ti commuove, ma che la bellezza, la semplice bellezza, ti riempie gli occhi di lacrime. Ti dirò, Harry,
che a malapena riuscivo a vedere questa ragazza attraverso il velo di lacrime che mi era salito agli occhi. E la sua voce...
non ho mai sentito una voce come quella. Dapprima era molto bassa, con note dolci e profonde, che parevano caderti
una alla volta nelle orecchie. Poi diventò un po' più sonora, come un flauto o un oboe lontano. Nella scena del giardino
aveva tutta la tremula estasi che si avverte appena prima dell'alba, quando cantano gli usignoli. E più tardi ci furono
momenti in cui aveva la selvaggia passione dei violini. Sai quanto possa commuovere una voce. La tua voce e quella di
Sibyl Vane sono due cose che non dimenticherò mai. Quando chiudo gli occhi le sento e ciascuna mi dice qualcosa di
diverso. Non so quale seguire. Perché non dovrei amarla? Harry, io la amo davvero. Nella mia vita Sibyl è tutto. Vado a
vederla recitare ogni sera. Una sera è Rosalind, la sera dopo Imogene. L'ho vista morire nelle tenebre di una tomba
italiana, suggendo il veleno dalle labbra del suo amante; l'ho vista vagare nella foresta delle Ardenne, travestita da
ragazzetto, con calzoncini, farsetto e un elegante berrettino. Era pazza e si è presentata di fronte a un re colpevole
dandogli un cilicio da indossare ed erbe amare da assaggiare. Innocente, il suo collo sottile come un giunco è stato
stretto dalle nere mani della gelosia. L'ho vista in ogni epoca e in ogni costume. Le donne comuni non ridestano mai la
nostra immaginazione, sono chiuse nei limiti del loro secolo. Nessun incantesimo le trasfigura. Si conosce la loro anima
con la stessa facilità con cui si conoscono i loro cappellini. Si può trovarle in ogni momento, non c'è nessun mistero in
nessuna di loro. Al mattino vanno a cavallo nel parco, e al pomeriggio chiacchierano al tè. Hanno il loro sorriso
stereotipato, i loro modi educati. Sono completamente prevedibili. Ma un'attrice! Com'è diversa un'attrice, Harry!
Perché non mi hai detto che un'attrice è l'unica persona che valga la pena di amare?»
«Perché ne ho amate tante, Dorian.»
«Oh, sì, donne orribili dai capelli tinti e dal volto truccato.»
«Non parlare male dei capelli tinti e dei volti truccati. A volte hanno un fascino straordinario,» disse Lord
Henry.
«Adesso vorrei non averti parlato di Sibyl Vane.»
«Non avresti potuto fare a meno di parlarmene, Dorian. Per tutta la vita mi dirai sempre tutto quello che farai.»
«Sì, Harry, credo che tu abbia ragione. Non posso fare a meno di raccontarti le cose. Hai una strana influenza
su di me. Se un giorno dovessi commettere un delitto, verrei a confessartelo. Tu mi capiresti.»
«Le creature come te, i potenti raggi di sole della vita, non commettono delitti, Dorian. Tuttavia ti sono molto
grato del complimento. E adesso dimmi - passami i fiammiferi, da bravo, grazie - attualmente, di che genere sono i tuoi
rapporti con Sibyl Vane?»
Dorian Gray scattò in piedi rosso in viso e con gli occhi ardenti. «Harry, Sibyl Vane è sacra!»
«Le cose sacre sono le uniche che valga la pena di toccare, Dorian,» disse Lord Henry, con una strana nota di
commozione nella voce. «Ma perché dovresti essere seccato? Immagino che un giorno sarà tua. Quando si è innamorati,
si comincia sempre ingannando se stessi e si finisce sempre ingannando gli altri. È quello che il mondo chiama
sentimentalismo. Comunque la conosci, vero?»
«Certo che la conosco. La prima sera quell'orribile vecchio ebreo, quando la commedia fu finita, venne a
gironzolare dalle parti del mio palco e si offrì di portarmi dietro il palcoscenico e di presentarmela. Mi fece infuriare e
gli dissi che Giulietta era morta da secoli e che il suo corpo giaceva in una tomba di marmo, a Verona. Dall'espressione
vacua e stupefatta che assunse, credo che abbia avuto l'impressione che avessi bevuto troppo champagne o qualcosa del
genere.»
«Non me ne meraviglio.»
«Poi mi chiese se scrivevo per qualche giornale. Gli dissi che non li leggo nemmeno. Mi parve tremendamente
deluso e mi confidò che tutti i critici teatrali cospiravano contro di lui e che bisognava comperarli tutti, nessuno
escluso.»
«Non sarei sorpreso se in questo avesse ragione. Ma del resto, a giudicare dall'apparenza, la maggior parte dei
critici non deve essere affatto costosa.»
«Be', lui pareva credere che fossero al di là delle sue possibilità,» rise Dorian. «Nel frattempo, tuttavia, le luci
del teatro erano state spente e fui costretto ad andarmene. Voleva farmi provare alcuni sigari che mi raccomandava
caldamente, ma rifiutai. Naturalmente la sera dopo tornai. Quando mi vide mi fece un profondo inchino e mi rassicurò
che ero un munifico patrono delle arti. Era un animale insopportabile, nonostante nutrisse un amore straordinario per
Shakespeare. Una volta mi disse, con aria orgogliosa, che i suoi cinque fallimenti erano dovuti al "Bardo", come si
ostinava a chiamarlo. Pareva ritenerlo un segno di distinzione.»
«Era un segno di distinzione, Dorian, un grosso segno. La maggior parte della gente fallisce per aver investito
troppo nella prosa della vita. Essere andato in rovina per la poesia è un onore. Ma quando hai conosciuto la signorina
Sibyl Vane?»
«La terza sera. Aveva recitato nella parte di Rosalind. Non potei fare a meno di farle visita. Le avevo gettato
dei fiori e lei mi aveva guardato; almeno così mi era sembrato. Il vecchio ebreo insisteva. Pareva deciso a portarmi
dietro il palcoscenico e quindi acconsentii. È strano che non volessi conoscerla, non è vero?»
«No, non credo.»
«Perché?»
«Te lo dirò qualche altra volta. Adesso voglio sapere della ragazza.»
«Sibyl? Oh, era così timida e così gentile... C'è un che di fanciullesco in lei. Spalancò gli occhi vivamente
meravigliata quando le dissi che cosa pensavo della sua interpretazione e sembrava non essere affatto consapevole delle
sue capacità. Mi pare che fossimo tutti e due alquanto nervosi. Il vecchio ebreo se ne stava sogghignando sulla soglia
del camerino polveroso, facendo alati discorsi sul nostro conto, mentre noi ci guardavamo l'un l'altro come ragazzini.
Continuava a chiamarmi mylord, e quindi dovetti assicurare Sibyl che non ero nulla di simile. Lei disse con molta
semplicità, riferendosi a me: "Ha più l'aspetto di un principe. La chiamerò Principe Azzurro."»
«Parola mia, Dorian, la signorina Sibyl sa come si fanno i complimenti.»
«Non la capisci, Harry. Mi considerava semplicemente il personaggio di una commedia. Non conosce nulla
della vita. Vive con la madre, una donna stanca e appassita che aveva interpretato la parte di Donna Capuleti indossando
una specie di tunica color magenta e che ha l'aria di aver conosciuto tempi migliori.»
«È un'aria che conosco. Mi deprime,» disse Lord Henry esaminandosi gli anelli.
«L'ebreo voleva raccontarmi la sua storia, ma gli dissi che non mi interessava.»
«Avevi ragione. C'è sempre qualche cosa di infinitamente meschino nelle tragedie degli altri.»
«Sibyl è l'unica cosa che mi interessi. Che cosa m'importa da dove viene? Dalla testolina ai piedini è divina,
assolutamente e completamente divina. Ogni sera vado a vederla recitare e ogni sera è più incantevole.»
«Immagino sia per questo motivo che non vieni più a pranzo con me. Pensavo che tu dovessi avere qualche
strana storia per le mani. E infatti ce l'hai, ma non è affatto quella che mi aspettavo.»
«Mio caro Harry, facciamo colazione o pranziamo insieme ogni giorno e sono stato diverse volte all'opera con
te,» disse Dorian spalancando stupito gli occhi azzurri.
«Arrivi sempre terribilmente in ritardo.»
«Beh, non posso fare a meno di veder recitare Sibyl,» esclamò, «magari solo per un atto. Bramo la sua
presenza e quando penso all'anima meravigliosa che si nasconde in quel corpicino d'avorio, mi sento pieno di
sgomento.»
«Pranzi con me stasera, Dorian, non è vero?»
Dorian scosse il capo. «Stasera è Imogene,» rispose, «e domani sera sarà Giulietta.»
«Quando sarà Sibyl Vane?»
«Mai.»
«Mi congratulo con te.»
«Sei tremendo. Lei è tutte le eroine del mondo, è più di un solo essere. Ridi, ma ti dico che è un genio. La amo
e devo fare in modo che mi ami. Tu che conosci tutti i segreti della vita, dimmi qual è l'incantesimo che induca Sibyl
Vane ad amarmi! Voglio ingelosire Romeo. Voglio che tutti gli amanti morti sentano le nostre risate e si rattristino.
Voglio che un sospiro della nostra passione animi la loro polvere e risvegli queste loro ceneri al dolore. Mio Dio, Harry,
quanto l'adoro!» Parlava camminando avanti e indietro per la stanza. Rosse chiazze febbricitanti gli ardevano sulle gote.
Era estremamente eccitato.
Lord Henry lo osservò con un sottile senso di piacere. Com'era diverso ora dal ragazzo timido e spaventato che
aveva incontrato nello studio di Basil! La sua natura era sbocciata come un fiore e aveva dischiuso petali di fiamma
scarlatta. La sua anima era scivolata fuori dal suo segreto nascondiglio e, sulla via, il desiderio le si era fatto incontro.
«E che cosa intendi fare?» domandò Lord Henry alla fine.
«Voglio che una sera tu e Basil veniate a vederla recitare. Non ho il minimo timore circa il risultato: sono certo
che riconoscerete le sue grandi capacità. Poi dovremo tirarla fuori dalle mani dell'ebreo. È legata a lui per tre anni, per
lo meno per due anni e otto mesi, a contare da oggi. Dovrò pagargli qualcosa, naturalmente. Quando tutto sarà
sistemato, affitterò un teatro del West End e la lancerò nel modo giusto. Farà impazzire la gente, come ha fatto
impazzire me.»
«Questo potrebbe risultare impossibile, mio caro ragazzo.»
«Sì, ci riuscirà. Sibyl non solo ha capacità artistiche e un consumato istinto teatrale, ma anche una personalità e
tu spesso mi hai detto che sono le personalità, non i principi a muovere la storia.»
«Bene, quando ci andremo?»
«Vediamo. Oggi è martedì. Stabiliamo per domani sera. Domani sera sarà Giulietta.»
«D'accordo. Al Bristol alle otto; porterò Basil con me.»
«Non alle otto, Harry, ti prego. Alle sei e mezzo. Dobbiamo essere là prima che si alzi il sipario. Devi vederla
nel primo atto, quando incontra Romeo.»
«Alle sei e mezzo! Che ora! Sarà come prendere un tè col pasticcio di carne, o leggere un romanzo inglese.
Facciamo alle sette. Nessun gentiluomo cena prima delle sette. Vedrai Basil prima di allora o devo scrivergli?»
«Caro Basil. Non lo vedo da una settimana. È molto brutto da parte mia, perché mi ha mandato il ritratto in una
cornice meravigliosa che ha disegnato apposta e, anche se sono un poco geloso del quadro che è di un mese più giovane
di me, devo ammettere che mi fa molto piacere. Forse è meglio che gli scriva tu. Non voglio vederlo da solo. Dice delle
cose che mi infastidiscono. Mi dà buoni consigli.»
Lord Henry sorrise. «La gente ama molto donare le cose di cui ha più bisogno. È ciò che io chiamo l'abisso
della generosità.»
«Oh, Basil è il migliore degli amici, ma mi sembra un pochino filisteo. L'ho scoperto dopo averti conosciuto,
Harry.»
«Mio caro ragazzo, Basil mette nel suo lavoro tutto quello che ha in sé di affascinante. Come conseguenza, per
la vita gli rimangono solo i suoi pregiudizi, i suoi principi e il suo buon senso. Gli unici artisti dotati di fascino
personale che io abbia conosciuto sono i cattivi artisti: quelli buoni esistono solamente per quello che fanno e di
conseguenza, sono assolutamente privi di interesse per quello che sono. Un grande poeta, un poeta davvero grande, è la
meno poetica delle creature. Ma i poeti di scarso valore sono pieni di fascino. Quanto peggiori sono i loro versi, tanto
più pittoreschi appaiono. Il semplice fatto di aver pubblicato un libro di sonetti di seconda scelta rende un uomo
assolutamente irresistibile. Vive la poesia che non può scrivere. Gli altri, scrivono la poesia che non osano attuare.»
«Mi chiedo se le cose stiano proprio così Henry,» disse Dorian Gray versando alcune gocce di profumo da una
grossa boccetta dal tappo dorato che era sul tavolo. «Sarà così, se lo dici tu. E adesso devo andare. Imogene, mi attende.
Non dimenticarti di domani. Arrivederci.»
Appena Dorian Gray ebbe lasciato la stanza, Lord Henry socchiuse gli occhi e cominciò a pensare. Certo,
poche persone lo avevano interessato come Dorian Gray, e tuttavia la folle adorazione del ragazzo per un'altra persona
non gli dava nessun fastidio né la minima fitta di gelosia. Anzi, ne era compiaciuto: lo rendeva un soggetto più
interessante. I metodi delle scienze naturali lo avevano sempre affascinato, ma i normali oggetti; di studio di queste
scienze gli parevano banali e privi di importanza. Così aveva cominciato vivisezionando se stesso, e aveva finito
vivisezionando gli altri. La vita umana: questa gli sembrava l'unica cosa che valesse la pena di studiare. Al suo
confronto null'altro aveva valore. È vero che se si osserva la vita nel suo singolare crogiuolo di piacere e di dolore, non
è possibile proteggere il viso con una maschera di vetro, né impedire che i vapori di zolfo turbino la mente e
intorbidiscano, l'immaginazione con fantasie mostruose e sogni, deformi. Ci sono veleni così sottili che per conoscerne
le proprietà è necessario avvelenarsi. Ci sono malattie così strane che, per capirne la natura, è necessario subirne
personalmente il decorso. E tuttavia, quali grosse ricompense se ne ottenevano! Come diventava meraviglioso il mondo!
Che piacere notare la strana, dura logica della passione, la vita piena di colori dell'intelletto, che piacere nell'osservare
dove si incontravano e dove si separavano, in che punto raggiungevano l'unisono, in che punto erano in opposizione!
Che, importanza aveva il prezzo? Non si paga mai un prezzo troppo alto per una sensazione.
Sapeva, e il pensiero portò un lampo di piacere negli occhi di agata bruna, che sotto lo stimolo di certe sue
parole, parole musicali musicalmente pronunciate, l'animo di Dorian Gray si era volto verso questa candida fanciulla,
chinandosi in adorazione davanti a lei. Il giovane era in gran parte una creatura sua. Lo aveva reso precoce. Era una
cosa importante. La gente comune attende che la vita le sveli i suoi segreti, ma ai pochi, agli eletti, i misteri della vita
vengono rivelati prima che il velo venga scostato. A volte era conseguenza dell'arte, e soprattutto della letteratura che si
occupa senza mediazioni delle passioni e dell'intelletto ma, di quando in quando, una personalità complessa ne prendeva
il posto e ne assumeva il compito. A suo modo era un'autentica opera d'arte, poiché la vita ha i suoi capolavori elaborati,
proprio come li hanno la poesia, la scultura, la pittura.
Sì, il giovane era precoce. Raccoglieva le sue messi mentre era ancora primavera. Aveva in sé gli impulsi e le
passioni della giovinezza, ma stava diventando cosciente di sé. Osservarlo era delizioso. Con quel suo bel viso, con,
quella sua bella anima, era una cosa da guardare con meraviglia. Non importava come tutto sarebbe finito, o era
destinato a finire. Era come una di quelle figure piene di grazia di una processione o di uno spettacolo, le cui gioie ci
sembrano remote, ma le cui pene stimolano il nostro senso del bello e le cui ferite sono simili a rose rosse.
Corpo e anima, anima e corpo: com'erano misteriosi! C'era qualche cosa di animalesco nell'anima mentre il
corpo aveva i suoi momenti di spiritualità. I sensi potevano affinarsi e l'intelletto poteva degenerare. Chi poteva dire
quando, dove terminava l'impulso della carne o dove iniziava quello della materia? Quanto erano misere le definizioni
arbitrarie dei comuni psicologi! E tuttavia come era difficile scegliere tra le affermazioni delle varie scuole! Era forse
l'anima un'ombra seduta nella casa del peccato? Oppure il corpo era proprio nell'anima, come pensava Giordano Bruno?
La separazione tra spirito e materia era un mistero, ed era anche un mistero l'unione di spirito e materia.
Cominciò a domandarsi se saremmo mai stati in grado di rendere la psicologia una scienza così esatta da
rivelarci ogni minimo principio di vita. Così come stavano le cose, ci ingannavamo sempre sul nostro conto e raramente
capivamo gli altri. L'esperienza non aveva un valore etico, era semplicemente il nome che gli uomini davano ai loro
errori. Di regola, i moralisti l'avevano ritenuta un avvertimento, avevano sostenuto che essa aveva una certa efficacia
nella formazione del carattere, l'avevano esaltata come qualcosa che ci insegnava la via da seguire e ci mostrava quella
da evitare. Ma nell'esperienza non c'è forza motrice. Come causa attiva aveva lo stesso infimo valore della coscienza. In
realtà dimostrava solo che il nostro futuro sarà uguale al nostro, passato e che il peccato che abbiamo commesso una
volta, con disgusto, lo ripeteremo molte volte con gioia.
Era evidente per lui che il metodo sperimentale era l'unico metodo attraverso il quale si sarebbe potuto
giungere a un'analisi scientifica delle passioni e certamente Dorian Gray era un soggetto adatto e sembrava promettere
risultati ricchi e fruttuosi. Questo suo improvviso folle amore per Sibyl Vane era un fenomeno psicologico di un certo
interesse. Senza dubbio la curiosità vi aveva una parte importante: la curiosità e il desiderio di nuove esperienze; e
tuttavia non era una passione semplice bensì piuttosto complessa. La parte che in essa aveva l'istinto sensuale
dell'adolescenza era stata trasformata dal lavoro della fantasia e mutata in qualche cosa che, allo stesso Dorian, pareva
staccata dai sensi e che proprio per questo motivo era più pericolosa. Sono le passioni sulla cui origine ci inganniamo
quelle che ci tiranneggiano di più. Le nostre motivazioni più deboli sono quelle di cui siamo consapevoli, di cui
conosciamo la natura. Spesso accade che quando pensiamo di condurre esperimenti sugli altri, in realtà stiamo
sperimentando noi stessi.
Mentre Lord Henry sedeva sognando queste cose, bussarono alla porta ed entrò il cameriere, ricordandogli che
era l'ora di vestirsi per la cena. Lord Henry si alzò e guardò nella strada. Il tramonto aveva tramutato in oro scarlatto le
finestre alte della casa di fronte. Le imposte rilucevano come piastre di metallo rovente. Più in alto il cielo aveva il
colore di una rosa appassita. Pensò alla giovane vita dagli intensi colori dell'amico e si domandò come tutto sarebbe
finito.
Quando ritornò a casa verso mezzanotte e mezzo trovò un telegramma sul tavolo del vestibolo. Lo aprì e vide
che era di Dorian Gray. Gli annunciava che si era fidanzato con Sibyl Vane.

V
«Mamma; mamma, come sono felice!» sussurrò la ragazza nascondendo il viso nel grembo della donna
appassita e stanca che, volgendo le spalle alla luce violenta e invadente, sedeva nell'unica poltrona del minuscolo
salotto. «Come sono felice,» ripeté, «e anche tu devi esserlo!»
La signora Vane trasalì e posò le mani sottili, sbiancate dal bismuto, sul capo della figlia. «Felice!» ripeté.
«Sono felice, Sibyl, solo quando ti vedo recitare. Il signor Isaacs è stato molto buono con noi e gli dobbiamo dei soldi.»
La ragazza alzò la testa con un'espressione imbronciata. «Soldi, mamma?» esclamò. «Che importanza hanno i
soldi? L'amore vale più del denaro.»
«Il signor Isaacs ci ha anticipato cinquanta sterline per pagare i nostri debiti e per preparare un corredo
conveniente per James. Non devi dimenticarlo, Sibyl. Cinquanta sterline sono una grossa somma. Il signor Isaacs è stato
molto premuroso.»
«Non è un gentiluomo, mamma, e non sopporto il modo che ha di parlarmi,» disse la ragazza alzandosi ed
avvicinandosi alla finestra.
«Non so come potremmo fare senza di lui,» rispose la donna in tono lamentoso.
Sibyl Vane scosse il capo ridendo. «Non abbiamo più bisogno di lui, mamma. Il Principe Azzurro si prende
cura di noi, ora.» Poi tacque. Nel suo sangue una rosa s'agitò, colorandole le guance. Un respiro più frequente le fece
socchiudere i petali tremanti delle labbra. Un vento caldo di passione la investì muovendole le delicate pieghe del
vestito. «Lo amo,» disse semplicemente.
«Stupidina! Stupidina!» fu la frase pappagallescamente ripetuta che le giunse in risposta. Il moto delle dita
adunche, coperte di falsi gioielli, aggiungeva un che di grottesco alle parole.
La ragazza rise di nuovo. Nella sua voce c'era la gioia di un uccellino in gabbia. Gli occhi colsero la melodia e
la rivelarono splendendo; si chiusero per un attimo, come per nascondere il segreto. Quando si riaprirono, su di loro era
passata l'ombra di un sogno.
La saggezza dalle labbra sottili le parlava dalla poltrona consunta, le consigliava prudenza prendendola a
prestito da quel libro delle vigliaccherie il cui autore scimmiotta il nome del buon senso. Sibyl non l'ascoltava; era libera
nella prigione della passione. Il suo principe, il Principe Azzurro, era con lei. Aveva chiesto alla memoria di
riprodurglielo, aveva mandato la sua anima a cercarlo e questa glielo aveva riportato. Il suo bacio le ardeva sulle labbra,
le sue palpebre erano calde del suo respiro.
Allora la saggezza cambiò metodo e parlò di indagini e di informazioni. Questo giovanotto doveva essere
ricco. Se così era, si poteva pensare al matrimonio. Contro le conchiglie delle sue orecchie si infrangevano le onde
dell'astuzia della vita. Le frecce dell'astuzia le cadevano vicino. Vide muoversi le labbra sottili e sorrise.
Improvvisamente, sentì il bisogno di parlare: quel silenzio fatto di parole la infastidiva. «Mamma, mamma,»
esclamò, «perché mi ama tanto? Io lo so perché lo amo: perché è come dovrebbe essere l'amore stesso, ma lui che cosa
vede in me? Io non son degna di lui, eppure, come, non saprei dire, anche se mi sento tanto al di sotto di lui, non mi
sento umile: mi sento orgogliosa, tremendamente orgogliosa. Mamma, tu amavi mio padre come io amo il mio Principe
Azzurro?»
La vecchia signora impallidì sotto lo strato di cipria da poco prezzo che le imbrattava le guance; le sue labbra
secche si contrassero in uno spasimo di sofferenza. Sibyl si precipitò verso di lei, le gettò le braccia intorno al collo e la
baciò. «Perdonami, mamma. So che parlare di mio padre ti fa soffrire. Ma soffri solo perché lo hai amato tanto. Non
essere così triste. Oggi io sono felice come lo eri tu vent'anni fa. Ah! Lascia che sia sempre felice!»
«Figlia mia, sei troppo giovane per pensare a innamorarti. E poi, che cosa sai di questo giovanotto? Non sai
nemmeno come si chiama. Tutta questa faccenda è estremamente sconveniente e, davvero, nel momento in cui James
sta per andarsene in Australia, ed io ho tante cose a cui pensare, devo dire che avresti dovuto essere più riflessiva.
Tuttavia, come ho detto poco fa, se è ricco...»
«Ah! Mamma, mamma, lascia che sia felice!»
La signora Vane le lanciò un'occhiata e, con uno di quei falsi gesti teatrali che tanto spesso, negli attori,
diventano una seconda natura, la strinse tra le braccia. In quell'attimo, la porta si aprì ed entrò un ragazzo dai capelli
castani arruffati. Era tarchiato, con mani e piedi grossi, leggermente goffo nei movimenti. Non aveva nulla della finezza
della sorella e difficilmente si sarebbe potuto indovinare lo stretto legame di parentela che c'era tra loro. La signora
Vane lo fissò e accentuò il sorriso. Elevò mentalmente il figlio alla dignità di pubblico: era certa che il tableau fosse
interessante.
«Dovresti conservare per me qualcuno dei tuoi baci, Sibyl, mi pare,» disse il ragazzo con un brontolio gentile.
«Ah! ma a te non piace farti baciare, Jim,» esclamò la ragazza. «Sei un orribile vecchio orso.» E attraversò di
corsa la stanza per stringerlo tra le braccia.
James Vane guardò teneramente in viso la sorella. «Voglio che tu venga a fare una passeggiata con me, Sibyl.
Immagino che non vedrò più questa orribile Londra. E di certo non lo desidero.»
«Figlio mio, non dire queste brutte cose,» mormorò la signora Vane, prendendo con un sospiro uno sgargiante
costume teatrale e cominciando a rammendarlo. Le dava un po' fastidio non far parte del gruppo. La pittoresca teatralità
della situazione sarebbe aumentata.
«Perché no, mamma? Ne sono convinto.»
«Mi dai un dispiacere, figlio mio. Spero che ritornerai con una florida posizione. Credo che laggiù nelle
colonie non esista un bel mondo, nulla che io chiamerei bel mondo; quindi, quando ti sarai costruito una fortuna, dovrai
ritornare e sistemarti qui a Londra.»
«Bel mondo,» mormorò il ragazzo. «Non voglio saperne nulla. Vorrei fare un po' di soldi per togliere te e Sibyl
dal palcoscenico. Lo odio.»
«Oh, Jim!» disse Sibyl ridendo, «non sei affatto gentile! Ma davvero vuoi fare una passeggiata con me? Che
bello! Avevo paura che tu volessi andare a salutare i tuoi amici; come quel Tom Hardy che ti ha regalato quell'orrenda
pipa, o Ned Langton, che ti prende in giro perché la fumi. È molto carino da parte tua riservarmi l'ultimo pomeriggio.
Dove andiamo? Al Park?»
«Sono troppo male in arnese,» rispose lui, aggrottando le sopracciglia. «Al Park ci va solo la gente elegante.»
«Non dire assurdità, Jim,» sussurrò Sibyl, accarezzandogli la manica della giacca.
Il giovane esitò un momento. «Benissimo,» disse infine, «ma non metterci troppo a vestirti.» Sibyl uscì a passo
di danza. La si sentiva cantare mentre correva su per le scale, poi dal soffitto provenne il rumore dei suoi piedini.
Jim andò due o tre volte su e giù per la stanza, infine si voltò verso la figura immobile sulla poltrona.
«Mamma, le mie cose sono pronte?» domandò.
«È tutto pronto, James,» rispose la donna, senza sollevare lo sguardo dal lavoro. Da alcuni mesi si sentiva a
disagio quando si trovava sola con questo suo figlio rude e severo. Quando i loro occhi si incontravano, la sua natura
superficiale ne era turbata. Si chiedeva di continuo se sospettasse qualcosa. Poiché lui non faceva nessun'altra
osservazione, il silenzio le divenne insopportabile. Cominciò a lamentarsi. Le donne si difendono attaccando, proprio
come attaccano con strane e improvvise capitolazioni. «Spero che sarai contento della vita di mare, James,» disse. «Però
devi ricordare che l'hai scelta tu. Avresti potuto impiegarti nell'ufficio di un procuratore. I procuratori sono una classe
molto rispettabile e spesso, in provincia, sono invitati a pranzo dalle migliori famiglie.»
«Odio gli uffici e gli impiegati,» rispose il ragazzo. «Ma hai ragione, la mia vita me la sono scelta io. Ti dico
solo una cosa: bada a Sibyl, sta' attenta che non le succeda niente di male. Devi badare a lei, mamma.»
«Che strani discorsi fai, James. Certo che baderò a lei.»
«Ho sentito che un signore va tutte le sere a teatro e poi passa sul palcoscenico per parlarle. È vero? Che storia
è?»
«Parli di cose che non capisci, James. Nella nostra professione siamo abituate a ricevere di continuo gli omaggi
più lusinghieri. Io stessa un tempo ero solita ricevere molti mazzi di fiori ogni sera. Questo accadeva quando davvero si
capiva la recitazione. Per quanto riguarda Sibyl, non so ancora se questa sua relazione sia una cosa seria o meno. Ma
senza dubbio il giovanotto in questione è un perfetto gentiluomo. Con me è sempre gentilissimo. Inoltre pare che sia
molto ricco e manda dei bellissimi fiori.»
«Però non sai come si chiama,» disse il ragazzo, aspro.
«No,» rispose la madre, con una placida espressione in volto. «Non ha ancora rivelato il suo vero nome. La
ritengo una cosa molto romantica. Probabilmente appartiene all'aristocrazia.»
James Vane si morse un labbro. «Bada a Sibyl, mamma,» esclamò, «bada a lei.»
«Figlio mio, tu mi stai angustiando. Sibyl è sempre sotto la mia assidua vigilanza. Naturalmente, se questo
signore è ricco non vi è motivo per cui Sibyl non debba unirsi a lui. Confido che sia un signore dell'aristocrazia: devo
dire che ne ha tutta l'apparenza. Per Sibyl potrebbe essere un matrimonio brillantissimo. Formerebbero una bellissima
coppia: lui ha un aspetto davvero splendido, lo hanno notato tutti.»
Il ragazzo mormorò qualcosa tra sé e tamburellò con le grosse dita sui vetri della finestra. Si era appena voltato
per dire qualcosa, quando si aprì la porta e Sibyl entrò di corsa.
«Come siete seri, tutti e due!» esclamò. «Che cosa è successo?»
«Nulla,» rispose il fratello, «penso che qualche volta si può anche essere seri. Arrivederci, mamma; cenerò alle
cinque. Ho messo via tutto, salvo le camicie, quindi non preoccuparti.»
«Arrivederci, figlio mio,» disse lei, con un inchino artificiosamente maestoso.
Era profondamente seccata dal tono che lui aveva adottato nei suoi confronti e, nel suo sguardo, c'era qualcosa
che le faceva paura.
«Dammi un bacio, mamma,» disse la ragazza. Le labbra belle come un fiore toccarono la guancia incipriata e
ne scaldarono il gelo.
«Figlio mio, figlio mio!» esclamò la signora Vane, sollevando lo sguardo al soffitto in cerca di un immaginario
loggione.
«Andiamo, Sibyl,» disse il fratello con impazienza. Non sopportava gli atteggiamenti affettati della madre.
Uscirono nella tremolante luminosità di un giorno spazzato dal vento e si incamminarono lungo la triste Euston
Road. I passanti lanciavano occhiate stupite a quel giovane imbronciato e massiccio, vestito rozzamente e senza cura, in
compagnia di una fanciulla così fine e graziosa. Sembrava un volgare giardiniere che camminasse reggendo una rosa.
Jim ogni tanto si accigliava quando captava lo sguardo curioso di qualche sconosciuto. Provava
quell'avversione a sentirsi guardato che prende i geni negli ultimi anni della loro vita, e che non abbandona mai le
persone comuni. Sibyl, tuttavia, non si rendeva affatto conto dell'effetto che produceva. L'amore le fremeva nelle labbra
sorridenti. Pensava al Principe Azzurro, e per pensarlo meglio non ne parlava, ma chiacchierava della nave sulla quale
Jim si sarebbe imbarcato, dell'oro che certamente avrebbe trovato, della meravigliosa ereditiera che avrebbe certamente
salvato dalle grinfie dei feroci banditi in camicia rossa. Perché lui non sarebbe rimasto un marinaio o uno stivatore o
roba del genere. Oh, no! La vita di un marinaio è terribile! Immagina a starsene stipati in una nave orrenda, mentre le
onde gonfie e ruggenti cercano di invaderla e un cupo vento schianta gli alberi, riducendo le vele a lunghi brandelli
stridenti. Sarebbe sceso dalla nave a Melbourne, dopo aver detto educatamente arrivederci al capitano e si sarebbe
diretto immediatamente verso i campi auriferi. Dopo neanche una settimana avrebbe scoperto una grossa pepita di oro
puro, la più grossa pepita mai trovata, e l'avrebbe portata verso la costa su un carro scortato da sei poliziotti a cavallo. I
banditi lo avrebbero aggredito tre volte, ma sarebbero stati sconfitti con un'enorme carneficina. Oppure no. Non sarebbe
affatto andato nei campi auriferi. Erano posti orribili, dove gli uomini si ubriacavano, si sparavano addosso nel bar e
usavano un linguaggio sconveniente. Jim sarebbe divenuto un bravo allevatore di pecore e una sera, ritornando a casa a
cavallo, avrebbe visto una magnifica ereditiera sul punto di essere rapita da un bandito montato su un cavallo nero e
l'avrebbe inseguita e liberata. Naturalmente lei si sarebbe innamorata di lui, e lui di lei, si sarebbero sposati, sarebbero
ritornati in patria ed avrebbero vissuto in una grandissima casa, a Londra. Sì, c'erano cose meravigliose in serbo per lui,
ma avrebbe dovuto comportarsi bene, non perdere la calma o spendere stupidamente i suoi soldi. Lei aveva solo un
anno più di lui, ma della vita sapeva molte più cose di lui. E doveva anche badare bene a scriverle ad ogni partenza del
postale, e di dire le preghiere ogni sera prima di addormentarsi. Il Signore era molto buono e avrebbe vegliato su di lui e
dopo pochi anni se ne sarebbe ritornato ricchissimo e felice.
Il ragazzo l'ascoltava con aria imbronciata, senza rispondere. Lo rattristava l'idea di partire. Ma non solo per
questo si sentiva triste e taciturno.
Per quanto fosse inesperto, avvertiva nettamente la pericolosità della situazione di Sibyl. Questo giovane dandy
che le faceva la corte non portava con sé nulla di buono. Era un gentiluomo: per questo lo odiava, per qualche strano
istinto di razza che non avrebbe potuto spiegare, e che proprio per questo era in lui ancor più dominante. Conosceva
anche la superficialità e la vanità della madre e in ciò vedeva un incommensurabile pericolo per Sibyl e per la sua
felicità. I figli cominciano con l'amare i propri genitori; crescendo li giudicano e, a volte, li perdonano.
Sua madre! Aveva qualcosa da chiederle, qualcosa che aveva covato in silenzio per molti mesi. Una frase udita
per caso a teatro, un bisbiglio di scherno che gli era giunto all'orecchio una sera, mentre attendeva all'ingresso del
palcoscenico, avevano scatenato in lui una serie di terribili pensieri. Se ne ricordava come una frustata in pieno viso. Le
sue sopracciglia erano talmente aggrottate che formavano una sorta di cuneo di peli. In un sussulto di sofferenza si
morse il labbro inferiore.
«Non ascolti nemmeno una parola di quello che dico, Jim,» esclamò Sibyl, «e io che sto facendo i più
meravigliosi progetti sul tuo avvenire. Dimmi qualcosa.»
«Che cosa vuoi che dica?»
«Oh, che farai il bravo e che non ci dimenticherai,» rispose Sibyl, rivolgendogli un sorriso.
Jim scosse le spalle. «È più facile che sia tu a dimenticare me, che non io te, Sibyl.»
Lei arrossì. «Che cosa vuoi dire, Jim?» domandò.
«Ho sentito che hai un nuovo amico. Chi è? Perché non me ne hai parlato? Non promette nulla di buono per
te.»
«Smettila, Jim!» esclamò lei. «Non devi dire nemmeno una parola contro di lui. Io lo amo.»
«Ma come, non sai nemmeno come si chiama,» obiettò il ragazzo. «Chi è? Ho il diritto di saperlo.»
«Lo chiamo Principe Azzurro. Non ti piace questo nome? Oh, cattivo! Non dovresti dimenticarlo mai. Se tu
solamente lo vedessi, capiresti che è la persona più affascinante del mondo. Lo incontrerai un giorno, quando ritornerai
dall'Australia. Ti piacerà moltissimo. Piace a tutti e... io lo amo. Vorrei che tu potessi venire a teatro stasera. Lui verrà e
io sarò Giulietta. Oh! Come reciterò! Immagina, Jim, essere innamorata e recitare la parte di Giulietta! E averlo seduto
là davanti! Recitare per la sua soddisfazione! Temo che spaventerò il pubblico, lo spaventerò e lo dominerò. Essere
innamorati significa superare se stessi. Il povero, orribile signor Isaacs griderà «è un genio» ai suoi fannulloni del bar.
Mi ha già predicato come un dogma, stasera mi annuncerà come una rivelazione. Lo sento. E tutto questo è suo, soltanto
suo, Principe Azzurro, il mio meraviglioso amante, il mio dio della bellezza. Ma io accanto a lui sono povera. Povera?
Che importanza ha? Quando la povertà entra strisciando dalla porta, l'amore arriva volando dalla finestra. I nostri
proverbi dovrebbero venire rifatti. Sono stati scritti d'inverno e adesso è estate; credo che per me la primavera sia
proprio una danza di fiori nel cielo azzurro.»
«È un signore,» disse il giovane, cupo.
«Un principe,» cantò la voce di lei. «Che cosa pretendi di più?»
«Vuole che tu diventi la sua schiava.»
«Tremo al pensiero di essere libera.»
«Voglio che tu ti guardi da lui.»
«Vederlo vuol dire adorarlo, conoscerlo vuol dire aver fiducia in lui.»
«Sibyl, sei impazzita per lui.»
Lei rise e lo prese per il braccio. «Caro vecchio Jim, parli come se avessi cent'anni. Un giorno ti innamorerai
anche tu e allora saprai che cosa vuol dire. Non prendere quest'aria scontrosa. Dovresti essere contento al pensiero che,
mentre sei lontano, mi lasci più felice di quanto non sono mai stata. La vita è stata dura per tutti e due, terribilmente
dura e difficile, ma d'ora in poi le cose saranno diverse. Tu vai in un nuovo mondo, io ne ho trovato uno. Ecco due
sedili, sediamoci e guardiamo passare la gente elegante.»
Sedettero in mezzo a una folla di gente intenta a guardare. Dall'altra parte della strada le aiuole di tulipani
fiammeggiavano come palpitanti anelli di fuoco. Una polvere bianca, come una tremula nube di ireos, era sospesa
nell'ansare dell'aria. Gli ombrelli da sole dai vivaci colori danzavano e cadevano come enormi farfalle. Sibyl spinse il
fratello a parlare di sé, delle sue speranze, dei suoi progetti. Jim rispondeva lentamente a fatica. Si scambiavano le
parole come i giocatori si scambiano i gettoni. Sibyl si sentiva oppressa, non riusciva a comunicare la gioia che
provava. L'unica eco che le riuscì di suscitare fu un debole sorriso che curvò appena, la bocca imbronciata del fratello:
Dopo un po' tacque. D'un tratto colse un lampo di capelli d'oro, di labbra ridenti e Dorian Gray passò in una carrozza
aperta con due signore.
Balzò in piedi. «Eccolo!» esclamò.
«Chi?» domandò Jim Vane.
«Il Principe Azzurro,» rispose lei, seguendo con lo sguardo la carrozza.
Jim balzò in piedi a sua volta e le afferrò rudemente un braccio. «Fammelo vedere. Chi e? Indicamelo. Devo
vederlo!» esclamò. Ma proprio in quel momento sopraggiunse il tiro a quattro del duca di Berwic e, quando fu passato,
la carrozza aperta aveva lasciato il Park.
«Se ne è andato,» mormorò tristemente Sibyl. «Avrei voluto che tu lo vedessi.»
«Avrei voluto anch'io perché, sicuro come dio in cielo, se mai ti dovesse fare del male, lo ucciderei.»
Sibyl lo fissò terrorizzata. Lui ripeté la frase. Le parole tagliarono l'aria come una frustata. La gente intorno
cominciò a guardarli. Una signora che stava accanto a lei si scostò.
«Andiamo via, Jim, andiamo via,» sussurrò. Lui la seguì sempre con un'espressione ostinata in volto mentre
Sibyl si faceva largo tra la folla. Era contento di quello che aveva detto. Giunti alla statua di Achille, Sibyl si voltò.
Aveva negli occhi un'espressione di pietà che sulle labbra si trasformò in un sorriso. Scosse il capo. «Sei sciocco, Jim,
sei tremendamente sciocco; un ragazzo dal pessimo carattere, tutto qui. Come hai potuto dire una cosa così orribile?
Non sai di che cosa parli. Sei soltanto geloso e poco gentile. Ah, vorrei che anche tu ti innamorassi. L'amore rende
buoni, mentre le cose che hai detto sono cattive.»
«Ho sedici anni,» rispose lui, «e so quello che dico. La mamma non ti può essere di aiuto. Non capisce che
deve sorvegliarti. Adesso vorrei non dover andare in Australia: ho una gran voglia di mandare tutto a monte. Lo farei, se
non avessi già firmato un contratto.»
«Oh, non essere così serio, Jim. Sei come l'eroe di uno di quegli stupidi melodrammi che la mamma recitava
tanto volentieri. Non voglio litigare con te. L'ho, visto e, oh! il vederlo è una perfetta felicità. Non litigheremo. So che
non saresti capace di far male a chi amo, non è vero?»
«Immagino di no, finché lo amerai,» fu la cupa risposta.
«Lo amerò sempre!» esclamò lei.
«Sarà meglio per lui.»
Sibyl si staccò dal fratello, poi rise e gli posò una mano sul braccio. Era solo un ragazzo.
A Marble Arch salirono su un omnibus che li lasciò vicino alla loro, squallida casa di Euston Road. Erano le
cinque passate e Sibyl doveva riposare un paio d'ore prima della recita. Jim insistette perché lo facesse. Disse che
preferiva salutarla mentre non c'era la madre. Avrebbe fatto di sicuro una scena e lui detestava le scene di qualunque
genere.
Si separarono nella stanza di Sibyl. Nel cuore del ragazzo c'era gelosia e un odio feroce e mortale per lo
sconosciuto che, secondo lui, si era messo tra loro. Tuttavia quando le braccia di lei gli allacciarono il collo e le sue dita
gli si insinuarono tra i capelli, si addolcì e la baciò con sincero affetto. Scese con gli occhi pieni di lacrime. La madre lo
aspettava da basso. Quando entrò, brontolò per la sua mancanza di puntualità. Jim non rispose, ma sedette davanti al
misero pasto. Le mosche ronzavano intorno alla tavola, muovendosi sulla tovaglia macchiata. Attraverso il rombo degli
omnibus e il fracasso delle carrozze, sentiva la voce lamentosa divorargli a uno a uno i minuti che gli restavano.
Dopo un po', allontanò il piatto e si prese la testa tra le mani. Sentiva di avere il diritto di sapere. Se i suoi
sospetti erano fondati, avrebbero dovuto dirglielo prima. Piena di paura, la madre lo osservava. Le parole le cadevano
meccanicamente dalle labbra mentre, tra le dita, tormentava un lacero fazzoletto di pizzo. Quando l'orologio batté le sei,
il ragazzo si alzò e si avviò alla porta. Poi si voltò, fissandola. I loro occhi si incontrarono. Vide in quelli di lei una folle
richiesta di pietà e ne fu irritato.
«Mamma, devo chiederti una cosa,» disse. Gli occhi della donna vagarono incerti nella stanza. Non rispose.
«Dimmi la verità, ho il diritto di saperlo. Tu e mio padre eravate sposati?»
La donna emise un profondo sospiro. Era un sospiro di sollievo. Quel terribile momento, quel momento temuto
notte e giorno, per settimane e per mesi, era venuto finalmente. Tuttavia non ne aveva paura, anzi, in una certa qual
misura ne era delusa. La rude franchezza della domanda richiedeva una risposta altrettanto franca. La situazione non si
era sviluppata gradualmente: era sorta brutalmente ricordandole una brutta prova teatrale.
«No,» rispose, meravigliandosi dell'aspra semplicità della vita.
«Allora mio padre era un mascalzone?» esclamò il ragazzo, stringendo i pugni.
La donna scosse il capo. «Sapevo che non era libero. Ci amavamo moltissimo. Se fosse vissuto avrebbe badato
a noi. Non parlare male di lui, figlio mio. Era tuo padre ed era un gentiluomo. In verità aveva parenti molto importanti.»
Dalle labbra del ragazzo sfuggì una bestemmia. «Di me, non mi importa,» esclamò, «ma non lasciare che
Sibyl... È un gentiluomo anche quel tipo che si è innamorato di lei, o dice di esserlo, non è vero? E immagino che anche
lui abbia parenti molto importanti.»
Per un momento, la donna fu sopraffatta da un vergognoso senso di umiliazione. Chinò il capo e si passo sugli
occhi una mano, tremante. «Sibyl ha una madre,» mormorò. «Io non l'avevo.»
Il ragazzo si commosse. Si avvicinò a lei e, chinatosi, le diede un bacio. «Mi dispiace di averti fatto soffrire
chiedendoti di mio padre,» disse, «ma non ho potuto farne a meno. Ora devo andare. Arrivederci. Non dimenticare che
adesso dovrai badare a uno solo dei tuoi figli, e credimi, se quell'uomo rovinerà mia sorella, scoprirò chi è, lo
rintraccerò e lo ammazzerò come un cane. Lo giuro.»
Il tono esaltato della minaccia, i gesti pieni di passione che la accompagnavano, le folli parole
melodrammatiche le fecero apparire più vivida la vita. Aveva familiarità con quest'atmosfera. Respirò più liberamente
e, per la prima volta dopo molti mesi, ammirò sinceramente il figlio. Avrebbe voluto continuare la scena sullo stesso
tono emotivo, ma lui tagliò corto. Bisognava portar giù i bauli e cercare gli indumenti pesanti. Il facchino della pensione
entrava e usciva. Poi si dovette trattare con il vetturino. Il poco tempo andò perduto in meschini particolari. Fu con un
rinnovato senso di delusione che, mentre il figlio si allontanava sulla carrozza, sventolò dalla finestra il lacero fazzoletto
di pizzo. Sentiva che una grande occasione era stata sprecata. Si consolò descrivendo a Sibyl quanta desolazione
sarebbe entrata nella sua vita, adesso che aveva uno solo dei suoi figli a cui badare. Ricordò la frase: le aveva fatto
piacere. Della minaccia non disse nulla. Era stata espressa con vivacità e senso drammatico. Sentiva che un giorno o
l'altro ne avrebbero riso tutti e tre.

VI
«Immagino che tu abbia saputo la novità, Basil,» disse quella sera Lord Henry, appena Hallward entrò in una
stanzetta privata del Bristol dove era stato apparecchiato per tre.
«No, Harry,» rispose l'artista consegnando cappello e soprabito al cameriere ossequioso. «Di che cosa si tratta?
Niente politica, spero. Non mi interessa. In tutta la Camera dei comuni non c'è quasi nemmeno una persona che meriti
un ritratto, anche se molti migliorerebbero alquanto con un'imbiancatina.»
«Dorian Gray si è fidanzato,» disse Lord Henry osservandolo attentamente mentre parlava.
Hallward sussultò, poi si accigliò. «Dorian fidanzato,» esclamò. «Impossibile!»
«È verissimo!»
«Con chi?»
«Con un'attricetta o roba del genere.»
«Non posso crederlo, Dorian è troppo assennato.»
«Dorian è troppo saggio per non fare qualche sciocchezza di tanto in tanto, mio caro Basil.»
«Il matrimonio non è una cosa che si possa fare di tanto in tanto, Harry.»
«Fuorché in America,» replicò distrattamente Lord Henry. «Ma non ho detto che si è sposato. Ho detto che si è
fidanzato. C'è una grande differenza. Io ho il netto ricordo di essere sposato, ma non ricordo affatto di essere stato
fidanzato. Sono incline a pensare di non esserlo stato mai.»
«Ma pensa alla nascita, alla posizione e alla ricchezza di Dorian. Sarebbe assurdo per lui sposare una persona
di ceto tanto inferiore.»
«Se vuoi che sposi questa ragazza devi dirgli solo questo, Basil. Allora lo farà senz'altro. Quando un uomo
commette un'enorme sciocchezza, la commette sempre per i più nobili motivi:»
«Spero che sia una brava ragazza, Harry. Non vorrei vedere Dorian legato a una creatura spregevole, che
potrebbe degradare la sua natura e rovinargli l'intelletto.»
«Oh, è più che brava... è bella,» mormorò Lord Henry, sorseggiando un bicchiere di vermouth e arancia amara.
«Dorian dice che è bella e in questo non gli capita spesso di sbagliare. Il tuo ritratto ha fatto maturare in fretta in lui la
capacità di apprezzare l'aspetto degli altri. Ha avuto anche questo effetto, tra le altre cose. La vedremo stasera, se il
giovanotto non dimenticherà di venire all'appuntamento.»
«Dici sul serio?»
«Assolutamente sul serio, Basil. Sarei meschino se pensassi di poter essere più serio di quanto sono in questo
momento.»
«Ma approvi questa cosa, Harry?» domandò il pittore, muovendosi per la stanza e mordendosi il labbro. «Non
è possibile che l'approvi. È una stupida infatuazione.»
«Non approvo né disapprovo, mai. È un atteggiamento assurdo nei confronti della vita. Non veniamo al mondo
per sciorinare i nostri pregiudizi morali. Non bado mai a quello che dicono le persone comuni e non mi intrometto mai
nel comportamento delle persone affascinanti. Se una persona mi affascina, qualunque sia il modo di esprimersi da lei
scelto, lo trovo assolutamente piacevole. Dorian Gray si innamora di una bella ragazza che recita la parte di Giulietta e
si propone di sposarla? Perché no? Se sposasse Messalina non sarebbe meno interessante. Sai che non sono un paladino
del matrimonio: il vero svantaggio del matrimonio è quello di rendere altruisti e gli altruisti sono privi di colore.
Mancano di individualità. Tuttavia nel matrimonio il carattere di alcuni si fa più complesso: mantengono il loro
egotismo e vi aggiungono molti altri ego. Sono costretti ad avere più di una vita. Raggiungono un maggior livello
organizzativo e un elevato livello organizzativo è, a mio avviso, lo scopo dell'esistenza umana. Inoltre, ogni esperienza
ha il suo valore e, qualunque cosa si possa dire contro il matrimonio, senza dubbio è un'esperienza. Spero che Dorian
Gray sposi questa ragazza, la adori appassionatamente per sei mesi, e poi improvvisamente rimanga affascinato da
qualcun'altra. Sarebbe uno studio meraviglioso.»
«Non pensi una sola parola di quello che hai detto, Harry, e lo sai. Se Dorian Gray si rovinasse la vita, nessuno
proverebbe più dispiacere di te. Sei molto migliore di ciò che pretendi di essere.»
Lord Henry rise. «A noi tutti piace pensare bene degli altri perché abbiamo paura di noi stessi. La base
dell'ottimismo è il puro terrore. Pensiamo di essere generosi perché attribuiamo al nostro prossimo le virtù che ci
potrebbero essere utili. Lodiamo il banchiere per poterci permettere il conto scoperto e troviamo buone qualità nel
bandito di strada nella speranza che ci risparmi le tasche. Sono convinto di tutto ciò che ho detto. Verso l'ottimismo
nutro il più grande disprezzo. E per quanto riguarda la vita rovinata, l'unica ad esserlo è quella il cui sviluppo si arresta.
Se vuoi guastare un carattere, devi solo correggerlo. Per quanto riguarda il matrimonio, evidentemente sarebbe una
stupidaggine, ma un uomo e una donna possono stringere altri e più interessanti legami. Io li incoraggerei certamente.
Hanno il fascino dell'eleganza. Ma ecco Dorian Gray. Lui ti spiegherà meglio di me.»
«Mio caro Harry, mio caro Basil, dovete congratularvi con me!» disse il giovane togliendosi il soprabito da
sera dai risvolti di seta e stringendo la mano agli amici. «Non sono mai stato tanto felice. Naturalmente è stata una cosa
improvvisa, come tutte le cose veramente deliziose e tuttavia mi pare l'unica che ho atteso tutta la vita.» Ardeva
dall'eccitazione e dal piacere e appariva eccezionalmente bello.
«Spero che sarai molto felice, Dorian,» disse Hallward, «ma non ti perdono di non avermi detto nulla del tuo
fidanzamento. A Henry lo hai fatto sapere.»
«E io non ti perdono di essere venuto in ritardo a pranzo,» interruppe Lord Henry, posando una mano sulla
spalla del giovane e sorridendo. «Venite, vediamo com'è il nuovo chef, poi ci racconterai com'è successo.»
«Non c'è molto da dire in realtà.» esclamò Dorian, mentre si sistemavano intorno al tavolo rotondo. «È
successo semplicemente questo, Harry: dopo averti lasciato ieri sera, mi sono vestito, ho pranzato in quel ristorantino
italiano di Rupert Street che mi hai fatto conoscere e alle otto sono andato a teatro. Sibyl recitava la parte di Rosalind.
Naturalmente le scene erano orrende e Orlando era assurdo. Ma Sibyl! Avresti dovuto vederla! Quando entrò in scena
vestita da ragazzo era semplicemente meravigliosa. Indossava un farsetto di velluto color muschio con le maniche color
cannella, calzoncini marroni trapuntati e aderenti, un grazioso berrettino verde con una penna di falco fermata da un
gioiello e una mantellina orlata di rosso scuro con un cappuccio. Mai m'era sembrata più deliziosa. Aveva tutta la grazia
delicata di quella statuetta di Tanagra che c'è nel tuo studio, Basil. I capelli le incorniciavano il volto come foglie scure
intorno a una pallida rosa. E la recitazione... beh, la vedrai questa sera. È un'attrice nata. Me ne stavo in quel minuscolo
palco completamente avvinto. Ho dimenticato di essere a Londra nel diciannovesimo secolo. Ero lontano col mio amore
in una foresta che nessun uomo aveva mai visto. Dopo lo spettacolo andai dietro il palcoscenico e le parlai. Mentre
eravamo seduti vicini, improvvisamente le apparve negli occhi un'espressione che non avevo mai visto. Avvicinai le
mie labbra alle sue. Ci baciammo. Non so descriverti quello che provai in quel momento. Mi parve che tutta la mia vita
si fosse concentrata in un unico punto perfetto di rosea gioia. Lei tremava tutta e vibrava come un bianco narciso. Poi
cadde sulle ginocchia e mi baciò le mani. Sento che non dovrei dirvi tutte queste cose, ma non posso farne a meno.
Naturalmente il nostro fidanzamento è segreto di tomba. Lei non ne ha parlato nemmeno a sua madre. Non so che cosa
diranno i miei tutori. Lord Radley si infurierà di certo. Non me ne importa. Tra meno di un anno sarò maggiorenne e
allora potrò fare quel che vorrò. Ho avuto ragione, vero Basil, a prendere il mio amore dalla poesia e a trovare mia
moglie in una commedia di Shakespeare? Le labbra cui Shakespeare insegnò a parlare mi hanno sussurrato nell'orecchio
il loro segreto. Le braccia di Rosalind mi hanno allacciato e ho baciato Giulietta sulla bocca.»
«Sì, Dorian, immagino che tu abbia ragione,» disse lentamente Hallward.
«Oggi l'hai vista?» domandò Lord Henry.
Dorian Gray scosse il capo. «L'ho lasciata nella foresta di Arden, la ritroverò in un giardino di Verona.»
Lord Henry sorseggiò il suo champagne con aria pensosa. «Quando esattamente hai pronunciato la parola
matrimonio, Dorian? E lei che cosa ti ha risposto? Forse te ne sei completamente dimenticato.»
«Mio caro Harry, non ho trattato la cosa come una transazione commerciale e non le ho fatto nessuna proposta
formale. Le ho detto che l'amavo e lei mi ha detto che non si sentiva degna di diventare mia moglie. Non si sentiva
degna! Ma se il mondo intero non vale nulla al suo confronto!»
«Le donne sono prodigiosamente pratiche,» mormorò Lord Henry, «molto più pratiche di noi. In situazioni del
genere noi dimentichiamo spesso di accennare al matrimonio e loro ce lo ricordano sempre.»
Hallward gli posò una mano sul braccio. «Non dire queste cose, Harry. Hai contrariato Dorian. Lui non è come
gli altri: non pensa mai male di nessuno. Ha un carattere troppo elevato.»
Lord Henry lanciò un'occhiata attraverso la tavola. «Dorian non è mai contrariato con me,» rispose. «Ho fatto
questa domanda per la migliore delle ragioni, per l'unica ragione che, in realtà, giustifica una domanda: pura curiosità.
Secondo una mia teoria, sono sempre le donne che ci propongono il matrimonio e non noi che lo proponiamo loro.
Salvo, naturalmente, tra i borghesi, ma i borghesi non sono moderni.»
Dorian Gray rise e scosse il capo. «Sei proprio incorreggibile, Harry, ma non importa, è impossibile arrabbiarsi
con te. Quando vedrai Sibyl Vane, capirai che chi volesse farle del male sarebbe un bruto, un bruto senza cuore. Non
posso capire come si possa desiderare di avvilire chi si ama. Io amo Sibyl Vane, voglio porla su un piedistallo d'oro e
vedere il mondo adorare la mia donna. Che cos'è il matrimonio? Un voto irrevocabile. Per questo tu ne ridi. Ah! Non
riderne. Proprio un voto irrevocabile io voglio prendere. La sua fiducia mi rende fedele, la sua certezza mi rende buono.
Quando sono con lei, mi rammarico di tutto ciò che mi hai insegnato. Divento diverso dalla persona che tu conosci.
Sono cambiato, e basta una carezza di Sibyl Vane per farmi dimenticare te e tutte le tue erronee, affascinanti, velenose e
deliziose teorie.»
«Le quali sono...?» domandò Lord Henry, servendosi l'insalata.
«Oh, le tue teorie sulla vita, sull'amore, sul piacere. Tutte le tue teorie, in realtà, Harry.»
«Il piacere è l'unica cosa su cui meriti di avere una teoria,» rispose Lord Henry con la voce lenta e melodiosa.
«Ma mi dispiace non poter vantare l'originalità della mia. Appartiene alla natura, non a me. Il piacere è la prova della
natura, il suo cenno di approvazione. Quando siamo felici, siamo sempre buoni, ma quando siamo buoni non sempre
siamo felici.»
«Ah, ma che cosa intendi con buoni?» esclamò Basil Hallward.
«Sì,» gli fece eco Dorian appoggiandosi allo schienale della poltrona e guardando Lord Henry sopra il fitto
mazzo di iris purpuree posto al centro della tavola, «che cosa intendi con buoni, Harry?»
«Essere buoni significa essere in armonia con noi stessi,» rispose Lord Henry, toccando il fragile stelo del
bicchiere con le dita pallide e sottili. «Siamo in disaccordo invece, quando siamo costretti ad essere in armonia con gli
altri. La propria vita: questa è la cosa importante. E per quanto riguarda la vita del prossimo, se uno vuol fare il saccente
o il puritano, può sfoggiare il punto di vista morale che ha su di lui, però la cosa non lo riguarda. Inoltre
l'individualismo si prefigge il più elevato degli obiettivi. La morale moderna consiste nell'accettare i valori stabiliti della
nostra epoca. Secondo me, per qualunque persona colta, accettare i valori stabiliti della sua epoca è una manifestazione
della più rozza immoralità.»
«Ma se uno vive esclusivamente per se stesso, Harry, non ti pare che paghi un prezzo terribile?» obiettò il
pittore.
«Sì, oggi tutto ci costa troppo. Immagino che la vera tragedia dei poveri è che non possono permettersi altro
lusso che il sacrificio. I bei peccati, come le belle cose, sono privilegio dei ricchi.»
«Non si paga solo con il denaro.»
«E con che cosa, Basil?»
«Oh! Con il rimorso, con la sofferenza, con... ecco, con la coscienza della propria degradazione.»
Lord Henry si strinse nelle spalle. «Caro amico, l'arte medievale è affascinante, ma le emozioni medievali sono
passate di moda. Si possono usare nei romanzi, naturalmente. Ma allora le sole cose che si possono usare nei romanzi
sono quelle che non si adoperano più nella realtà. Credimi, nessun uomo civile rimpiange mai un piacere e nessun uomo
incivile sa che cosa è un piacere.»
«So che cosa è un piacere,» esclamò Dorian Gray. «È adorare qualcuno.»
«È certamente meglio che essere adorato,» rispose Lord Henry, giocherellando con un frutto. «Essere adorati è
una seccatura. Le donne ci trattano proprio come gli esseri umani trattano i loro dei. Ci adorano e non fanno altro che
seccarci chiedendoci di fare qualcosa per loro.»
«Avrei dovuto dire che qualunque cosa ci chiedano, ce lo hanno dato in precedenza,» mormorò gravemente il
giovane. «Le donne creano in noi l'amore, hanno il diritto di chiedere che venga loro restituito.»
«Assolutamente vero, Dorian,» esclamò Hallward.
«Non c'è nulla di assolutamente vero,» disse Lord Henry.
«Questo lo è,» lo interruppe Dorian. «Devi ammetterlo, Harry: le donne danno agli uomini la parte più preziosa
della loro vita.»
«Può darsi,» sospirò Lord Henry, «ma invariabilmente la vogliono indietro in spiccioli. Questo è il guaio. Le
donne, come ha detto un francese di spirito, ci ispirano il desiderio di creare capolavori e ci impediscono sempre di
realizzarli.»
«Harry, sei orribile! Non so perché mi piaci tanto.»
«Ti piacerò sempre, Dorian,» replicò Lord Henry. «Prendete il caffè, amici?... Cameriere, ci porti caffè, fine
champagne e sigarette. No, lasci perdere le sigarette; ne ho io. Basil, non ti permetto di fumare il sigaro, devi prendere
una sigaretta. La sigaretta è il modello perfetto di un piacere perfetto: è squisita e ti lascia insoddisfatto. Che cosa si può
volere di più? Sì, Dorian, mi vorrai sempre molto bene. Per te io rappresento tutti i peccati che non hai mai avuto il
coraggio di commettere.»
Che assurdità dici, Harry!» esclamò il giovane, accendendo la sigaretta alla fiamma che usciva dalla bocca del
drago d'argento che il cameriere aveva posato sulla tavola. «Andiamo a teatro. Quando Sibyl entrerà in scena avrai un
nuovo ideale di vita. Rappresenterà per te qualcosa che non hai mai conosciuto.»
«Io ho conosciuto tutto,» disse Lord Henry, con un'espressione stanca negli occhi, «ma sono sempre pronto a
provare nuove emozioni. Temo, tuttavia, che almeno per me non ce ne siano più. Però questa tua meravigliosa ragazza
potrebbe ancora farmi provare un brivido. Mi piace moltissimo il teatro: è tanto più reale della vita. Andiamo. Dorian,
tu verrai con me. Mi dispiace moltissimo, Basil, ma la carrozza ha solo due posti. Dovrai seguirci in vettura.»
Si alzarono, indossarono i soprabiti e bevvero il caffè in piedi. Il pittore era silenzioso e preoccupato.
Un'atmosfera di tristezza lo avvolgeva. Non poteva sopportare l'idea di questo matrimonio, tuttavia gli sembrava la cosa
migliore tra le tante che avrebbero potuto accadere. Pochi minuti dopo scesero tutti. Salì in vettura da solo, come era
stato deciso, e osservò i fanali luminosi della piccola carrozza che lo precedeva. Fu preso da una strana sensazione di
vuoto. Sentiva che Dorian Gray non sarebbe più stato per lui quello che era stato in passato. La vita si era messa tra di
loro... Gli occhi gli si oscurarono e le strade affollate e piene di luci si fecero confuse. Quando la vettura arrivò davanti
al teatro, gli sembrò di essere invecchiato di anni.

VII
Per qualche strano motivo, quella sera il teatro era gremito e il grasso impresario ebreo che li accolse sulla
porta era raggiante. Un sorriso untuoso e tremulo gli andava da un orecchio all'altro. Li scortò fino al loro palco con una
sorta di pomposa umiltà, agitando le grasse mani ingioiellate e parlando a voce altissima. Dorian Gray lo detestava più
che mai. Gli sembrava di essere venuto a cercare Miranda e di aver trovato Calibano. A Lord Henry, al contrario,
l'ebreo piacque abbastanza, o almeno così disse. Volle stringergli la mano assicurandogli che era orgoglioso di
conoscere un uomo che aveva scoperto un vero genio e che si era rovinato per un poeta. Hallward si divertiva ad
osservare le facce in platea. Il caldo era opprimente e l'enorme lampadario fiammeggiava come una dalia mostruosa dai
gialli petali di fuoco. I giovani in loggione si erano tolti la giacca e l'avevano appoggiata al parapetto. Si parlavano da
un capo all'altro del teatro dividendo le arance con le ragazze vistosamente vestite che avevano a fianco. Alcune donne
ridevano in platea con voci sgradevolmente acute e stridenti. Dal bar si sentiva provenire lo schiocco delle bottiglie
stappate.
«Che posto per trovare la propria divinità!» disse Lord Henry.
«Sì!» rispose Dorian Gray. «L'ho trovata qui e lei è davvero divina, più di ogni essere vivente. Quando recita ci
si dimentica tutto. Questi individui rozzi e ordinari, dall'espressione volgare e dai gesti brutali, si trasformano
completamente quando lei è in scena. Rimangono lì silenziosi a guardarla. Lei li fa piangere e ridere come vuole, li fa
rispondere come un violino. Infonde loro uno spirito e si sente che sono fatti del nostro stesso sangue e della nostra
stessa carne.»
«Nostro stesso sangue e nostra stessa carne! Oh, spero di no!» esclamò Lord Henry, che esaminava con il
binocolo da teatro il pubblico del loggione.
«Non dargli retta, Dorian,» disse il pittore. «Capisco quello che vuoi dire e credo in questa ragazza. Chiunque
tu ami deve essere meraviglioso e qualunque ragazza ottenga gli effetti che tu dici deve essere bella e nobile d'animo.
Spiritualizzare la propria epoca; ecco una cosa che vale la pena di fare. Se questa ragazza può dare un'anima a chi ha
vissuto finora senza averne una, se può dare il senso della bellezza a chi ha vissuto una vita sordida e sgradevole, se lo
può strappare dalla sua condizione d'egoismo e suscitare in lui lacrime per sofferenze e pene che non sono le sue, merita
tutta la tua adorazione, merita l'adorazione del mondo intero. Questo matrimonio è assolutamente giusto. Prima non lo
credevo, ma ora lo riconosco. Gli dei hanno fatto Sibyl Vane per te. Senza di lei saresti stato incompleto.»
«Grazie, Basil,» disse Dorian Gray, stringendogli una mano. «Sapevo che tu mi avresti capito. Harry è
talmente cinico che mi terrorizza. Ma ecco l'orchestra: è spaventosa, ma dura solo cinque minuti. Poi il sipario si alzerà
e vedrai la ragazza a cui sto per dedicare tutta la mia vita, la ragazza cui ho donato tutto ciò che ho di buono.»
Un quarto d'ora dopo, tra un lungo scroscio di applausi, Sibyl Vane entrò in scena. Sì, pensò Lord Henry, era
certamente bella da vedere, una delle più belle creature che avesse mai visto. Nella sua timida grazia, negli occhi stupiti
c'era qualcosa di un cerbiatto. Quando diede uno sguardo alla sala affollata ed entusiasta, un leggero rossore le salì alle
guance, simile al riflesso di una rosa in uno specchio d'argento. Arretrò leggermente e un fremito parve muoverle le
labbra. Basil Hallward balzò in piedi e cominciò ad applaudire. Dorian Gray sedeva immobile, fissandola come in
sogno. Lord Henry la osservava nel binocolo, mormorando: «Incantevole! Incantevole!»
La scena rappresentava un salone nella casa dei Capuleti e Romeo, in abito da pellegrino, era entrato con
Mercuzio e altri amici. L'orchestra fece del suo meglio per tirar fuori alcuni accordi e la danza incominciò. In mezzo al
gruppo di attori goffi e malvestiti, Sibyl Vane si muoveva come una creatura di un mondo superiore. Il suo corpo
ondeggiava nella danza come una pianta nell'acqua. Le curve della gola erano quelle di un bianco giglio. Le mani
sembravano di fresco avorio. E tuttavia sembrava stranamente distratta. Non mostrò alcun segno di gioia quando i suoi
occhi si posarono su Romeo. Le poche parole che doveva dire:
Buon pellegrino, fate troppo torto alla vostra mano, che in ciò dimostra cortese devozione; perché anche i santi
hanno mani che i pellegrini possono toccare e palma contro palma è il bacio del palmiere santo.
e il breve dialogo successivo vennero recitati in forma nettamente artificiosa. La voce era squisita, ma il tono era
assolutamente falso. Sbagliato di colore, toglieva ogni vita ai versi, rendendo la passione irreale. Dorian Gray la
osservava, pallido. Non capiva ed era angosciato. Gli amici non osavano dirgli nulla: avevano l'impressione che Sibyl
Vane non avesse nessuna qualità ed erano terribilmente delusi.
Sapevano però che una Giulietta la si può giudicare soltanto nella scena del balcone del secondo atto e
l'aspettavano: se cadeva, non aveva proprio nessuna stoffa.
Era affascinante quando apparve sotto la luce della luna, non si poteva negarlo, ma la recitazione artificiosa era
insopportabile e divenne sempre peggiore. I suoi gesti erano assurdamente teatrali e pronunciava ogni frase con enfasi
eccessiva. Il bel passo:
Tu sai che la maschera della notte è sul mio viso, altrimenti un rossore di fanciulla dipingerebbe la mia guancia
per ciò che tu mi hai udito dire questa notte.
fu declamato con la sgradevole precisione di una studentessa impostata da un'insegnante di dizione di seconda
categoria. Quando si sporse dal balcone e giunse a quei meravigliosi versi:
Sebbene tu sia la mia gioia, non ne traggo alcuna da questo nostro patto, questa notte: è troppo sconsiderato,
troppo inatteso, troppo improvviso, troppo simile al lampo che cessa di esistere prima che si sia finito di dire
«lampeggia». Amore, buona notte; e questo bocciolo d'amore, maturando al soffio dell'estate, potrà divenire un
magnifico fiore per l'ora del nostro prossimo incontro.
pronunciò le parole come se non significassero nulla. Non era nervosa, anzi pareva controllarsi perfettamente. La sua
era semplicemente pessima recitazione: un completo fallimento.
Anche gli spettatori volgari e incolti della platea e del loggione persero ogni interesse alla rappresentazione.
Cominciarono ad agitarsi, a parlare a voce alta e a fischiare. L'impresario ebreo, fermo in fondo alla prima galleria,
pestava i piedi e bestemmiava, rabbioso. Solo Sibyl pareva impassibile.
Alla fine del secondo atto ci fu un uragano di fischi. Lord Henry si alzò e indossò il soprabito. «È molto bella,
Dorian,» disse, «ma non sa recitare. Andiamo.»
«Vedrò la commedia fino alla fine,» rispose il giovane con voce dura e amara. «Mi spiace moltissimo di averti
fatto perdere la serata, Harry. Mi scuso con tutti e due.»
«Mio caro Dorian, secondo me la signorina Vane non si sente bene,» interruppe Hallward. «Verremo qualche
altra sera.»
«Vorrei che non si sentisse bene,» replicò Dorian. «Ma mi pare che sia semplicemente fredda e priva di
sensibilità. È cambiata completamente. Ieri sera era una grande artista, questa sera è solo un'attrice banale e priva di
qualità.»
«Non parlare così, chiunque sia la persona che ami, Dorian. L'amore è più meraviglioso dell'arte.»
«Sono entrambi forme di imitazione,» fece notare Lord Henry. «Ma andiamocene, Dorian, sei rimasto qui
abbastanza. Una pessima recitazione è demoralizzante. A parte questo, non penso che vorrai far recitare tua moglie. E
quindi che importanza ha se interpreta Giulietta come un burattino? È molto attraente e, se conosce tanto poco la vita
quanto la recitazione, sarà un'esperienza piacevolissima. Ci sono solo due tipi di persone davvero affascinanti: quelle
che sanno tutto e quelle che non sanno assolutamente nulla. Santo cielo, mio caro ragazzo, non assumere un'aria così
tragica. Il segreto per restare giovani è di non aver mai un'emozione che non ci si addice. Vieni al club con Basil e con
me. Fumeremo sigarette e brinderemo alla bellezza di Sibyl Vane. È bella, che cosa vuoi di più ?»
«Vattene, Harry,» esclamò il ragazzo. «Voglio restare solo. Basil, devi andartene. Ah! Non vedete che mi si
spezza il cuore?» Calde lacrime gli salirono agli occhi, le labbra gli tremarono. Corse nel fondo del palco e si appoggiò
al muro nascondendo il viso tra le mani.
«Andiamo, Basil,» disse Lord Henry, con una strana tenerezza nella voce. E i due giovani uscirono insieme.
Qualche momento dopo le luci della ribalta si accesero e il sipario si alzò sul terzo atto. Dorian Gray ritornò
alla sua poltrona. Era pallido, altero, indifferente. Lo spettacolo tirava avanti faticosamente e pareva non terminare mai
Metà del pubblico se n'era andata strascicando pesantemente i piedi e ridendo. Era un fiasco completo. L'ultimo atto si
svolse davanti ad una sala quasi vuota. Il sipario calò tra una risatina e alcuni gemiti.
Appena finito lo spettacolo, Dorian Gray si precipitò dietro il palcoscenico, nei camerini. La ragazza era là,
sola, con un'espressione di trionfo in viso. Un fuoco squisito le illuminava lo sguardo. Intorno a lei c'era un'aura di
splendore, le sue labbra socchiuse, sorridevano a qualche loro intimo segreto.
Quando Dorian entrò, lo guardò e fu come avvolta da un'espressione di infinita felicità. «Come ho recitato
male stasera, Dorian!» esclamò.
«Orribilmente,» rispose lui osservandola stupito, «orribilmente! Una cosa terribile. Non ti senti bene? Non hai
idea di quel che è stato. Non immagini quel che ho sofferto.»
La ragazza sorrise. «Dorian,» rispose, indugiando sul nome con una lunga modulazione come se sui rossi petali
della sua bocca esso fosse più dolce del miele. «Dorian, dovresti aver capito. Ma capisci, ora, non è vero?»
«Che cosa dovrei capire?» domandò lui incollerito.
«Perché ho recitato così male stasera. Perché reciterò sempre male, perché non reciterò più bene.»
Dorian Gray si strinse nelle spalle. «Immagino che tu non stia bene. Non dovresti recitare quando ti senti così.
Ti rendi ridicola. I miei amici si sono annoiati, io mi sono annoiato.»
Sibyl pareva non ascoltarlo. Era trasfigurata dalla gioia, era dominata da un'estasi di felicità.
«Dorian, Dorian,» esclamò, «prima di conoscerti, recitare era l'unica realtà della mia vita. Vivevo solo nel
teatro, credevo che fosse tutto vero. Una sera ero Rosalind, un'altra sera Porzia. La gioia di Beatrice era la mia gioia, ed
erano anche mie le sofferenze di Cordelia. Credevo a tutto. Le persone mediocri che recitavano con me mi sembravano
simili a dei, le scene dipinte erano il mio mondo. Conoscevo solo ombre e le credevo reali. Poi sei venuto tu, oh, mio
dolcissimo amore, e hai liberato la mia anima dalla prigione. Mi hai insegnato che cos'è la realtà. Stasera, per la prima
volta in vita mia, ho visto fino in fondo la falsità, la mistificazione, la stupidità della vuota parata in cui avevo sempre
recitato. Questa sera per la prima volta mi sono resa conto che Romeo era ripugnante, vecchio, truccato, che la luce
della luna nel giardino era falsa, lo scenario era volgare, mentre le parole che dovevo pronunciare erano irreali, non
erano mie, non erano le parole che volevo dire. Tu mi hai dato qualche cosa di più elevato, qualche cosa di cui ogni arte
è solo un riflesso. Mi hai fatto capire che cosa è veramente l'amore. Amore mio! Amore mio! Principe Azzurro!
Principe della Vita! Le ombre mi nauseano, ormai. Tu sei per me più di quanto potranno mai essere tutte le arti. Che
cosa ho a che fare con i pupazzi di una commedia? Quando sono entrata in scena questa sera, non riuscivo a capire
come mai avevo perduto tutte le mie capacità. Pensavo che sarei stata meravigliosa e scoprii che non sapevo fare nulla.
Improvvisamente, nell'anima mi baluginò il significato di tutto questo e il saperlo fu per me una sensazione deliziosa. Li
sentivo fischiare e sorridevo. Che cosa possono sapere loro di un amore come il nostro? Portami via, Dorian... portami
via con te in un posto dove possiamo essere assolutamente soli. Odio il palcoscenico. Potrei imitare una passione che
non sento, ma non una che mi arde come fuoco. Oh, Dorian, Dorian, capisci ora che cosa significa? Se anche potessi
farlo, sarebbe una profanazione per me recitare la parte dell'innamorata. Me lo hai fatto capire tu.»
Dorian Gray si lasciò cadere sul divano e distolse il viso. «Tu hai ucciso il mio amore,» mormorò.
Lei lo guardò stupita e rise. Dorian non rispose. Si avvicinò a lui e con le piccole dita gli accarezzò i capelli,
poi si inginocchiò portando le sue mani alle labbra. Lui le ritrasse e rabbrividì.
Poi si alzò e si avvicinò alla porta. «Sì,» esclamò, «hai ucciso il mio amore. Prima stimolavi la mia
immaginazione, ora non stimoli nemmeno la mia curiosità. Semplicemente, non provochi in me nessuna reazione. Ti
amavo perché eri meravigliosa, perché eri intelligente e dotata, perché facevi vivere i sogni di grandi poeti e rafforzavi e
materializzavi le ombre dell'arte. Hai gettato via tutto, sei stupida e superficiale. Mio Dio! Che pazzo sono stato ad
amarti! Che stupido sono stato! Adesso non sei più nulla per me. Non ti rivedrò più, non ti penserò più, non pronuncerò
più il tuo nome. Tu non sai che cosa rappresentavi per me una volta. Come mai... oh, non riesco a pensarci! Vorrei non
aver mai posato lo sguardo su di te! Tu hai rovinato il più bell'episodio d'amore della mia vita. Come conosci poco
l'amore se pensi che guasti la tua arte! Senza di essa non sei nulla. Ti avrei resa famosa, splendida, magnifica. Il mondo
ti avrebbe adorata e tu avresti portato il mio nome. Che cosa sei adesso? Un'attrice di terz'ordine dal viso grazioso.»
La ragazza impallidì e fu scossa da un tremito. Si strinse le mani e la voce le si bloccò in gola. «Non dirai sul
serio, Dorian?» mormorò. «Stai recitando.»
«Recitare! Lo lascio fare a te. Sei così brava,» rispose lui, amaro. Sibyl si rialzò e con una pietosa espressione
di sofferenza si avvicinò a lui. Gli posò una mano sul braccio e lo guardò negli occhi. Lui la respinse. «Non toccarmi!»
disse con forza.
Con un fievole gemito Sibyl si gettò ai suoi piedi e rimase immobile come un fiore calpestato. «Dorian!
Dorian! Non lasciarmi!» sussurrò. «Mi dispiace tanto di non aver recitato bene. Ho pensato a te tutto il tempo. Ma
proverò... davvero, proverò. Mi ha travolto così improvvisamente, il mio amore per te. Credo che non me ne sarei mai
resa conto se non mi avessi baciata... se non ci fossimo baciati. Baciami ancora, amore mio. Non andartene via. Non
potrei sopportarlo. Oh, non andartene via. Mio fratello... no, non importa, non diceva sul serio, scherzava... Ma tu, oh,
non puoi perdonarmi questa sera? Lavorerò intensamente e cercherò di migliorare. Non essere crudele con me perché ti
amo più di qualunque cosa al mondo. Dopo tutto, solo per una volta non ti ho soddisfatto. Ma hai perfettamente ragione,
Dorian. Avrei dovuto comportarmi più da artista. Sono stata sciocca, ma non potevo farne a meno. Oh, non lasciarmi,
non lasciarmi.» Fu scossa da singhiozzi appassionati. Era rannicchiata sul pavimento come una bestiola ferita e Dorian
Gray la guardava dall'alto con quei suoi occhi meravigliosi. Le labbra finemente cesellate erano piegate in
un'espressione di squisito disprezzo. Vi è sempre qualche cosa di ridicolo nelle emozioni delle persone che non si
amano più. Sibyl Vane gli sembrava assurdamente melodrammatica. Le sue lacrime e i suoi singhiozzi lo infastidivano.
«Me ne vado,» disse alla fine con la sua voce calma e chiara. «Non vorrei essere scortese, ma non posso
rivederti più. Mi hai deluso.»
Sibyl piangeva silenziosamente; non rispose, ma si trascinò più vicino a lui. Allungò ciecamente le piccole
mani come se volesse cercarlo. Dorian si voltò di scatto e lasciò la stanza. Pochi istanti dopo era uscito dal teatro.
Non seppe mai bene dove fosse andato. Ricordò di aver vagato per strade debolmente illuminate, di aver
superato desolati portici bui e case dall'aspetto sinistro. Donne dalle voci rauche e dalle aspre risate lo avevano
chiamato. Ubriachi vacillanti bestemmiavano e parlavano tra sé come scimmie mostruose. Aveva visto bambini
grotteschi rannicchiati sulle soglie e udito grida e maledizioni provenire da cortili oscuri.
Alle prime luci dell'alba si trovò vicino al Covent Garden. L'oscurità scompariva e, arrossendo di pallidi
fuochi, il cielo si incavava trasformandosi in una perla perfetta. Carri enormi, colmi di gigli ondeggianti, rotolavano
rumorosamente sulle strade lucide e vuote. L'aria era intrisa del profumo dei fiori e la loro bellezza sembrava attutire la
sua sofferenza. Li seguì nel mercato e osservò gli uomini scaricare i cassoni. Un carrettiere dalla camicia bianca gli offrì
delle ciliege. Lo ringraziò domandandosi stupito perché non avesse accettato dei soldi e si mise a mangiarle
distrattamente. Erano state colte a mezzanotte e la freschezza della luna le aveva penetrate. Una lunga fila di ragazzi che
portavano ceste di tulipani screziati e di rose gialle e rosse gli passò davanti, cercando di avanzare tra le grandi cataste
di verdure color verde giada. Sotto il porticato dai grigi pilastri scoloriti dal sole, un gruppo di ragazze sudice e a testa
nuda, aspettava che l'asta finisse. Altre si affollavano intorno alla porta girevole del caffè della piazza. I massicci cavalli
da tiro sdrucciolavano e scalpitavano sulle pietre irregolari, scuotendo le campanelle dei finimenti. Alcuni carrettieri
dormivano sdraiati su una pila di sacchi. I colombi dal collo iridescente e dalle zampe rosa correvano intorno beccando.
Dopo un poco fece segno a una carrozza e si fece portare a casa. Indugiò per qualche momento sulla soglia,
osservando la piazza silenziosa, le finestre chiuse e vuote, le persiane sbarrate. Adesso il cielo era un puro opale e su
questo sfondo i tetti delle case brillavano come argento. Da un camino di fronte saliva un sottile filo di fumo, che si
svolgeva come un nastro viola nell'aria color madreperla.
Nella grande lanterna veneziana dorata, predata da una gondola dogale, che pendeva dal soffitto del grande
vestibolo rivestito di quercia, ardevano ancora tremolando le fiammelle di tre beccucci: parevano sottili petali azzurri di
fiamma, orlati di fuoco bianco. Li spense e, gettati sulla tavola soprabito e cappello, attraversò la biblioteca dirigendosi
verso la porta della camera da letto, una vasta stanza ottagonale al pianterreno che, nella sua nuova passione per il lusso,
da poco aveva arredato da solo, appendendovi alcuni insoliti arazzi rinascimentali scoperti in una soffitta abbandonata
di Selby Royal. Mentre abbassava la maniglia lo sguardo gli cadde sul ritratto dipinto da Basil Hallward. Arretrò
sorpreso, poi entrò nella sua camera con un'espressione leggermente perplessa. Sbottonò la giacca e parve esitare; alla
fine ritornò indietro, si avvicinò al quadro e lo osservò. Nella luce pallida che filtrava dalle tende di seta color crema, il
volto gli sembrò leggermente cambiato: l'espressione era diversa. Si sarebbe detto che la bocca avesse assunto una nota
di crudeltà. Era davvero strano.
Si voltò, si diresse verso la finestra e scostò la tenda. L'alba luminosa inondò la stanza spazzando le ombre
fantastiche negli angoli polverosi, dove esse si nascosero tremando. Ma la strana espressione che aveva notato sul volto
del ritratto parve rimanervi e, anzi, rafforzarsi. La tremula, ardente luce del sole gli mostrava le rughe di crudeltà
intorno alla bocca chiare come se si stesse guardando in uno specchio dopo aver commesso qualche cosa di spaventoso.
Trasalì e, preso dal tavolo uno specchio ovale dalla cornice di amorini d'avorio, uno dei tanti regali di Lord
Henry, guardò ansiosamente nella lucida profondità. Nessuna ruga simile deformava le labbra rosse. Che cosa
significava?
Si strofinò gli occhi e, avvicinatosi al quadro, lo esaminò di nuovo. Il quadro non mostrava il minimo segno di
cambiamento e tuttavia l'espressione complessiva era alterata. Non era la sua immaginazione: il fatto era di un'orribile
evidenza.
Si gettò su una poltrona e cominciò a pensare. Improvvisamente, come un lampo, gli attraversò la mente quello
che aveva detto nello studio di Basil Hallward il giorno in cui il quadro era stato finito. Sì, lo ricordava perfettamente.
Aveva espresso il folle desiderio di poter restar giovane lasciando che il ritratto invecchiasse al posto suo, di conservare
intatta la sua bellezza lasciando che il volto sulla tela reggesse il peso delle sue passioni e dei suoi peccati, che le rughe
della sofferenza e della riflessione segnassero l'immagine dipinta permettendogli di conservare il bocciolo delicato e la
grazia della sua adolescenza di cui da poco era consapevole. Ma certo il suo desiderio non era stato esaudito: queste
cose erano impossibili. Gli pareva mostruoso anche solo pensarle. Tuttavia aveva davanti a sé il ritratto con quella nota
di crudeltà nelle labbra.
Crudeltà! Era stato crudele? Colpa della ragazza, non sua. L'aveva sognata come una grande artista, le aveva
donato il suo amore pensando che lei fosse grande, e lei lo aveva deluso. Si era mostrata frivola e indegna. Tuttavia, una
sensazione di infinito rimpianto lo colse mentre la ricordava abbandonata ai suoi piedi singhiozzante come un bambino.
Ricordò con quanta cattiveria l'aveva guardata. Perché era fatto così? Perché aveva ricevuto un'anima simile? Ma anche
lui aveva sofferto. Durante quelle tre tremende ore dello spettacolo aveva vissuto secoli di dolore, eternità di torture. La
sua vita valeva bene quella di lei. Sibyl gli aveva inflitto un momento di sofferenza insopportabile, anche se lui l'aveva
ferita inguaribilmente. Inoltre, le donne sopportano il dolore meglio degli uomini. Vivono delle loro emozioni. Quando
si prendono un amante lo fanno semplicemente per avere qualcuno cui fare scenate. Glielo aveva detto Lord Henry, e
Lord Henry conosceva le donne. Perché darsi pensiero per Sibyl Vane? Non significava più nulla per lui ormai.
Ma il quadro? Che cosa poteva pensarne? Custodiva il segreto della sua vita e raccontava la sua storia. Gli
aveva insegnato ad amare la propria bellezza. Gli avrebbe anche insegnato ad amare la propria anima? Lo avrebbe
potuto guardare ancora?
No, era solo un'illusione dovuta ai suoi sensi turbati. L'orribile notte trascorsa aveva lasciato dietro di sé i suoi
fantasmi. Improvvisamente gli era caduta nel cervello quella minuscola goccia scarlatta che porta gli uomini alla pazzia.
Il quadro non aveva subito nessun cambiamento, era folle pensarlo.
E tuttavia lo aveva davanti agli occhi, con quel bel viso contorto e il sorriso crudele. I capelli luminosi
rilucevano sotto i raggi del primo sole, gli occhi azzurri erano fissi nei suoi. Fu sopraffatto da un senso d'infinita pietà,
non per se stesso, ma per l'immagine dipinta di se stesso. Già si era alterata e lo sarebbe stata ancora di più. L'oro si
sarebbe spento in grigio, le sue rose rosse e bianche sarebbero appassite. Per ogni peccato commesso, una macchia
avrebbe contaminato e deteriorato la sua bellezza. Ma non avrebbe peccato. Il quadro, mutato o immutato, sarebbe stato
il simbolo visibile della sua coscienza. Avrebbe resistito alla tentazione. Non avrebbe più rivisto Lord Henry... o
perlomeno non avrebbe più ascoltato quelle sue sottili e velenose teorie che nel giardino di Basil Hallward avevano
stimolato per la prima volta in lui la passione per le cose impossibili. Sarebbe ritornato da Sibyl Vane, le avrebbe
chiesto perdono, l'avrebbe sposata, avrebbe cercato di amarla ancora. Sì, questo era il suo dovere. Lei doveva aver
sofferto più di lui. Povera piccola! Era stato egoista e crudele con lei. Il fascino che aveva esercitato su di lui sarebbe
risorto. Insieme sarebbero stati felici. La sua vita con lei sarebbe stata bella e pura.
Si alzò dalla poltrona e portò un grande paravento proprio davanti al ritratto. Gli lanciò un'occhiata e
rabbrividì. «Che cosa orribile!» mormorò tra sé. Si diresse alla porta finestra e l'aprì. Uscì e, camminando sull'erba,
trasse un profondo respiro. L'aria fresca del mattino parve allontanare tutte le sue cupe passioni. Pensava solo a Sibyl.
Un debole eco del suo amore ritornò in lui. Ripeté più volte il suo nome. Gli uccelli che cantavano nel giardino bagnato
di rugiada sembravano parlare di lei ai fiori.

VIII
Quando si svegliò, mezzogiorno era passato da un pezzo. Il suo cameriere era già entrato diverse volte in punta
di piedi per vedere se il padrone accennava a svegliarsi, chiedendosi come mai dormisse così a lungo. Finalmente il
campanello squillò e Victor entrò silenziosamente con una tazza di tè e una pila di lettere posate su un piccolo vassoio
di antica porcellana di Sevres; scostò le tende di seta color verde oliva rigate di un azzurro luminoso tese sulle tre grandi
finestre.
«Monsieur ha dormito bene questa mattina,» disse con un sorriso.
«Che ora è Victor?» domandò Dorian Gray.
«L'una e un quarto, signore.»
Com'era tardi! Si sollevò a sedere e, dopo aver bevuto un po' di tè, scorse le lettere. Una, di Lord Henry, era
stata consegnata a mano in mattinata. Esitò un attimo, poi la mise da parte. Aprì le altre pigramente: la solita collezione
di cartoncini, di inviti a pranzo, di biglietti per visioni private, di programmi di concerti di beneficenza e simili, che
piovono ogni mattina, durante la «Season», nella casa di ogni giovane alla moda. C'era un conto piuttosto salato, per un
servizio da toilette d'argento cesellato Louis-Quinze: non aveva ancora avuto il coraggio di mandarlo ai suoi tutori,
persone dalle idee molto antiquate che non si rendevano conto che viviamo in un'epoca in cui le cose superflue sono le
uniche necessarie. C'erano inoltre diversi annunci redatti in termini molto cortesi di usurai di Jermyn Street che
offrivano qualunque somma in prestito su semplice richiesta e al tasso più ragionevole.
Dopo circa dieci minuti si alzò e, gettata sulle spalle una ricca vestaglia di cashmere ricamata in seta, si trasferì
nella stanza da bagno dal pavimento in onice. Dopo il lungo sonno, l'acqua fresca lo ristorò. Pareva aver dimenticato
tutti gli avvenimenti della notte precedente. Una volta o due ebbe, ma come avvolta dall'irrealtà del sogno, la debole
sensazione di aver partecipato a qualche oscuro dramma.
Appena vestito entrò in biblioteca e sedette a un tavolino rotondo vicino alla finestra aperta, sul quale era stata
apparecchiata una leggera colazione alla francese. Era una splendida giornata. L'aria tiepida sembrava carica di aromi.
Un'ape entrò nella stanza e ronzò attorno al vaso turchese pieno di rose color giallo zolfo che aveva davanti. Si sentiva
completamente felice.
D'improvviso, lo sguardo gli cadde sul paravento che aveva sistemato davanti al ritratto e sussultò.
«Troppo freddo per Monsieur?» domandò il cameriere, mettendo un'omelette sulla tavola. «Devo chiudere la
finestra?»
Dorian scosse il capo. «Non ho freddo,» mormorò.
Allora era vero? Il ritratto era effettivamente cambiato? Oppure solo l'immaginazione gli aveva fatto vedere
un'espressione malvagia là dove prima c'era un'espressione di gioia? Era proprio impossibile che una tela dipinta
mutasse? Assurdo. Una storiella che un giorno avrebbe raccontato a Basil. Lo avrebbe fatto sorridere.
E tuttavia come era vivido il ricordo del fatto! Prima, nella debole luce dell'aurora, poi nella più chiara luce
dell'alba, aveva visto la nota di crudeltà intorno alle labbra contorte. Aveva quasi paura che il cameriere lasciasse la
stanza perché sapeva che, rimasto solo, avrebbe dovuto guardare il ritratto. Temeva quella certezza. Quando gli venne
portato il caffè e l'uomo si voltò per andarsene, sentì impellente il desiderio di chiedergli di rimanere. Lo chiamò mentre
stava chiudendo la porta. L'uomo si fermò in attesa dei suoi ordini. Dorian lo fissò per un momento. «Non sono in casa
per nessuno, Victor,» disse con un sospiro. L'uomo si inchinò e uscì.
Allora si alzò, si accese una sigaretta e si distese su un divano coperto di preziosi cuscini, situato di fronte al
paravento. Era un antico paravento di cuoio spagnolo dorato, con impressioni e decorazioni stile Louis-Quatorze
piuttosto ricche. Lo osservò con curiosità, domandandosi se in altre occasioni avesse celato il segreto di una vita.
Ma dopotutto, doveva proprio scostarlo? Perché non lasciarlo dov'era? A che cosa gli serviva sapere? Se la
cosa era vera, era terribile. Se non lo era, perché preoccuparsene? Ma se per caso, o per qualche nefasta possibilità, altri
sguardi avessero spiato dietro il paravento e notato l'orribile cambiamento? Che cosa avrebbe dovuto fare se Basil
Hallward fosse venuto a chiedergli di vedere il suo quadro? Lo avrebbe fatto di certo. No, bisognava analizzare la cosa
immediatamente. Qualunque cosa era meglio di quel terribile dubbio.
Si alzò e chiuse a chiave le due porte. Almeno sarebbe stato solo a guardare la maschera della sua vergogna.
Quindi scostò il paravento e vide se stesso faccia a faccia. Era perfettamente vero: il ritratto era mutato.
In seguito ricordò spesso e sempre con non poca meraviglia, di essersi dapprima trovato ad esaminare il quadro
con un interesse quasi scientifico. Gli sembrava incredibile che un simile mutamento potesse avvenire. E tuttavia era un
fatto reale. C'era forse qualche sottile affinità tra gli atomi che si erano raccolti in forma di colore sulla tela e l'anima
che era in lui? Era possibile che essi realizzassero ciò che l'anima pensava? Che dessero corpo a ciò che essa sognava?
Oppure c'era qualche altro e più terribile motivo? Rabbrividì, sentì di aver paura e, tornato sul divano, rimase disteso,
fissando il ritratto con un senso di nausea e di orrore.
Sentiva, comunque, che il ritratto aveva fatto almeno una cosa per lui. Gli aveva fatto capire quanto fosse stato
ingiusto e crudele nei confronti di Sibyl Vane. Ma non era troppo tardi per riparare: poteva ancora diventare sua moglie.
Il suo amore irreale ed egoista avrebbe ceduto a una più elevata influenza, si sarebbe trasformato in una più nobile
passione e il ritratto che Basil Hallward aveva dipinto gli sarebbe stato di guida nella vita, sarebbe stato per lui quello
che la santità è per alcuni e, per tutti, il timor di Dio. Esistono narcotici per il rimorso, droghe che possono
addormentare il senso morale, ma qui c'era il simbolo palese della degradazione del peccato, il segno sempre presente
delle rovine che gli uomini infliggono alla loro anima.
Batterono le tre, poi le quattro, poi la mezz'ora fece squillare i suoi due colpi, ma Dorian Gray non si mosse.
Cercava di raccogliere i fili scarlatti della vita, di tesserli in uno schema, di trovare la strada nel sanguigno labirinto
delle passioni in cui vagava. Non sapeva che cosa fare né cosa pensare. Alla fine, sedette al tavolo e scrisse una lettera
appassionata alla ragazza che aveva amato, implorando il suo perdono e accusandosi di follia. Coprì pagine e pagine di
sfrenate parole di rimorso e di ancor più sfrenate parole di dolore. C'è una voluttà nell'autoaccusa. Quando ci
rimproveriamo sentiamo che nessun altro ha il diritto di farlo. È la confessione, non il prete, a impartirci l'assoluzione.
Quando Dorian Gray ebbe finito la lettera sentì di esser stato perdonato.
Improvvisamente sentì bussare alla porta, poi la voce di Lord Henry provenire da fuori. «Mio caro ragazzo,
devo vederti. Fammi entrare subito. Non posso lasciarti chiuso qui in questo modo.»
Dapprima non rispose, ma rimase assolutamente immobile. I colpi però continuavano, sempre più forti. Sì, era
meglio far entrare Lord Henry, spiegargli la nuova vita che intendeva condurre, litigare con lui se necessario, rompere
se era inevitabile. Balzò in piedi, tirò in fretta il paravento davanti al quadro e girò la chiave.
«Sono così dispiaciuto per tutta la faccenda, Dorian,» disse Lord Henry entrando. «Ma devi cercare di non
pensarci.»
«Parli di Sibyl Vane?» domandò il giovane.
«Sì, naturalmente,» rispose Lord Henry, affondando in una poltrona e togliendosi lentamente i guanti gialli. «È
spaventoso, sotto un certo aspetto, ma non è stata colpa tua. Dimmi, ieri sera dopo la fine dello spettacolo sei andato a
trovarla nel camerino?»
«Sì.»
«Ne ero sicuro. Le hai fatto una scenata?»
«Sono stato brutale, Harry, assolutamente brutale. Ma adesso tutto è sistemato. Adesso non sono più
addolorato per quello che è successo. Mi ha insegnato a conoscermi meglio.»
«Ah, Dorian, sono così contento che tu la prenda in questo modo! Temevo di trovarti sprofondato nel rimorso e
intento a strapparti quei tuoi bei riccioli biondi.»
«Sono passato attraverso tutte queste fasi,» disse Dorian, scuotendo il capo e sorridendo. «Adesso però, sono
perfettamente felice. Tanto per cominciare so che cos'è la coscienza. Non è quello che mi avevi detto tu: è la cosa più
divina che ci sia in noi. Non riderne, Harry, non riderne più... davanti a me, almeno. Voglio essere buono. Non posso
sopportare l'idea che la mia anima sia ripugnante.»
«Un'affascinante base artistica per la morale, Dorian! Me ne congratulo. Ma come intendi cominciare?»
«Sposando Sibyl Vane.»
«Sposando Sibyl Vane!» esclamò Lord Henry, balzando in piedi e fissandolo con un'espressione perplessa e
meravigliata. «Ma, mio caro Dorian...»
«Sì, Harry, so che cosa stai per dire. Qualche cosa di terribile a proposito del matrimonio. Non dirla. Non dirmi
mai più cose del genere. Due giorni fa ho chiesto a Sibyl di sposarmi e non intendo rompere la promessa. Sarà mia
moglie!»
«Tua moglie! Dorian!... Non hai ricevuto la mia lettera? L'ho scritta questa mattina e l'ho fatta portare dal mio
cameriere.
«La tua lettera? Oh, sì, ricordo. Non l'ho letta, Harry. Temevo che contenesse qualcosa di spiacevole. Tu, con i
tuoi epigrammi fai a brandelli la vita.»
«E allora non sai nulla?»
«Che cosa vuoi dire?»
Lord Henry attraversò la stanza e, sedutosi accanto a Dorian, gli prese le mani nelle sue e gliele tenne strette.
«Dorian,» disse, «la mia lettera... non spaventarti... l'ho scritta per dirti che Sibyl Vane è morta.»
Un grido di dolore eruppe dalle labbra del giovane. Dorian balzò in piedi, strappando le mani dalla stretta di
Lord Henry. «Morta! Sibyl morta! Non è vero! Che orrenda bugia! Come osi dirla?»
«È vero, Dorian,» disse Lord Henry, gravemente. «È su tutti i giornali del mattino. Ti ho scritto chiedendoti di
non vedere nessuno prima di me. Ci sarà un'inchiesta, naturalmente, e tu non devi venire coinvolto. Con cose di questo
genere a Parigi si diventa alla moda, ma a Londra la gente è piena di pregiudizi. Qui non bisogna mai fare il proprio
debut con uno scandalo: bisogna tenerlo in serbo per rendere interessante la propria vecchiaia. Immagino che a teatro
non sappiano chi sei. Se è così, tutto bene. Ti ha visto qualcuno nelle vicinanze del suo camerino? Questo è un punto
importante.»
Per qualche momento Dorian non rispose. Era raggelato dall'orrore. Infine balbettò con un fil di voce: «Harry,
un'inchiesta, hai detto? Che cosa significa? Sibyl si è ... ? Oh, Harry, non posso sopportarlo! Presto. Dimmi tutto
immediatamente.»
«Sono sicuro che non si è trattato di un incidente, anche se al pubblico bisogna presentarlo sotto questa luce.
Pare che mentre lasciava il teatro con la madre, verso le dodici e mezzo circa, abbia detto di aver dimenticato qualcosa
di sopra. L'hanno attesa per un po', ma lei non scendeva. Alla fine l'hanno trovata distesa sul pavimento del camerino.
Aveva inghiottito per sbaglio qualche cosa, qualche sostanza pericolosa che impiegano a teatro. Non so se si trattasse di
acido prussico o di biacca di piombo. Acido prussico, penso, perché pare sia morta istantaneamente.»
«Harry, Harry, è terribile!» esclamò il giovane.
«Sì, naturalmente è davvero tragico, ma tu non devi venire coinvolto. Ho letto sullo Standard che aveva
diciassette anni. Avrei detto che fosse più giovane: aveva un'aria così da bambina, e pareva così poco esperta di teatro.
Dorian, non devi permettere che questa faccenda ti demoralizzi. Devi venire a cena con me e dopo andremo all'Opera.
C'è la Patti e ci saranno tutti. Puoi venire nel palco di mia sorella. Ci sono delle donne molto brillanti con lei.»
«E così ho assassinato Sibyl Vane,» disse Dorian Gray quasi parlando tra sé, «... l'ho assassinata
indiscutibilmente, proprio come se avessi tagliato la sua piccola gola con un coltello. E tuttavia per questo le rose non
sono meno belle, gli uccelli continuano a cantare allegramente nel mio giardino. E questa sera pranzerò con te, poi
andremo all'Opera e poi, suppongo che ceneremo da qualche parte. Che incredibile tragedia è la vita! Se avessi letto
tutto questo in un libro, Harry, credo che ne avrei pianto. E, non so come, adesso che è davvero successo, e proprio a
me, mi sembra troppo straordinario per piangerne. Qui c'è la prima lettera d'amore appassionata che ho scritto in vita
mia. Strano, che la mia prima lettera d'amore sia indirizzata a una ragazza morta. Chissà se hanno ancora delle
sensazioni quei bianchi esseri silenziosi che noi chiamiamo morti? Sibyl! Può sentire, sapere, ascoltare? Oh, Harry,
come l'amavo un tempo. Mi sembra che siano passati anni interi. Era tutto per me. Poi venne quell'orribile notte -
davvero è stata appena la notte scorsa? - quando recitò così male e quasi mi si spezzò il cuore. Mi spiegò tutto: era
straziante, ma non ne fui minimamente commosso. La credevo superficiale. Improvvisamente accadde qualche cosa che
mi spaventò moltissimo. Non posso dirti di che cosa si tratta, ma è una cosa terribile. Decisi che sarei ritornato da lei.
Sentivo di aver avuto torto. E ora è morta! Mio Dio, mio Dio! Harry, che cosa devo fare? Tu non sai quanto io sia in
pericolo e non c'è nulla che mi possa sorreggere. Lei avrebbe potuto farlo. Non aveva nessun diritto di uccidersi. È stata
un'egoista.»
«Mio caro Dorian,» rispose Lord Henry, prendendo una sigaretta dall'astuccio e levandosi di tasca una scatola
di fiammiferi ricoperta d'oro, «l'unica influenza che una donna può esercitare su un uomo è quella di annoiarlo a un
punto tale da fargli perdere ogni interesse alla vita. Se tu avessi sposato quella ragazza ti saresti rovinato. Naturalmente
saresti stato gentile con lei: si può sempre essere gentili con chi non ci interessa affatto. Ma lei si sarebbe accorta subito
di esserti del tutto indifferente e, quando una donna scopre questo atteggiamento nel marito, diventa terribilmente
sciatta, oppure comincia a portare dei cappellini elegantissimi che le dovrà pagare il marito di un'altra. Tralascio di
parlare dell'errore dal punto di vista della differenza sociale, un errore disastroso e che io naturalmente avrei impedito,
ma ti assicuro che, comunque, la faccenda si sarebbe rivelata un fallimento completo.»
«Suppongo di sì,» mormorò il giovane, muovendosi avanti e indietro per la stanza, pallidissimo. «Ma pensavo
che sarebbe stato mio dovere. Non è colpa mia se questa terribile tragedia mi ha impedito di fare quel che era giusto.
Ricordo che una volta hai detto che c'è una fatalità nei buoni propositi: vengono sempre presi troppo tardi. A me è
successo proprio questo.»
«I buoni propositi sono inutili tentativi di interferire nelle leggi scientifiche. Nascono dalla pura vanità e il loro
risultato è un nulla assoluto. Ogni tanto ci regalano una di quelle emozioni voluttuose e sterili che hanno un certo
fascino per i deboli: è tutto quello che se ne può dire. Sono semplicemente assegni che gli uomini emettono su una
banca dove non hanno un conto corrente.»
«Harry,» esclamò Dorian Gray, avvicinandosi e sedendosi accanto a lui, «perché non posso sentire questa
tragedia come vorrei? Non penso di essere senza cuore. Tu credi che lo sia?»
«Hai fatto troppe sciocchezze in queste ultime due settimane per avere il diritto di ritenerti tale, Dorian,»
rispose Lord Henry, con il suo dolce, malinconico sorriso.
Il giovane aggrottò le sopracciglia. «Non mi piace questa spiegazione, Harry,» replicò, «ma sono contento che
tu non mi creda senza cuore. Non lo sono affatto, so di non esserlo. E tuttavia devo ammettere che questo avvenimento
non mi ha colpito come avrebbe dovuto. Mi sembra soltanto la conclusione meravigliosa di una meravigliosa
commedia. Ha in sé tutta la terribile bellezza di una tragedia greca, una tragedia nella quale ho avuto una parte
importante, ma dalla quale sono uscito senza ferite.»
«È una questione interessante,» disse Lord Henry, che provava uno squisito piacere nel far vibrare
l'inconsapevole egocentrismo del giovane, «una questione estremamente interessante. E immagino che la vera
spiegazione sia questa. Spesso le tragedie della vita si verificano in una forma così priva di senso estetico che ci
colpiscono con la loro assurda mancanza di significato, la totale mancanza di gusto. Ci colpiscono proprio come ci
colpisce la volgarità. Ci danno un'impressione di pura forza bruta e contro questo ci rivoltiamo. A volte, tuttavia, una
tragedia che possiede elementi di bellezza artistica attraversa la nostra vita. Se questi elementi di bellezza sono reali,
l'insieme agisce semplicemente sulla nostra sensibilità all'effetto drammatico. Ci rendiamo conto improvvisamente di
non essere più gli attori, ma gli spettatori della rappresentazione. O meglio, siamo l'una e l'altra cosa. Ci osserviamo e
siamo avvinti dalla pura meraviglia dello spettacolo. In questo caso, che cosa è successo, in realtà? Qualcuno si è ucciso
per amor tuo. Vorrei aver vissuto un'esperienza simile: mi avrebbe fatto amare l'amore per il resto della vita. Le persone
che mi hanno adorato - non molte, ma qualcuna c'è stata - si sono sempre ostinate a vivere quando da molto tempo
avevo cessato di interessarmi di loro, o loro di me. Sono diventate grasse e noiose e, quando le incontro,
immediatamente tirano fuori i ricordi. Quell'incredibile memoria che hanno le donne! Che cosa spaventosa! Quale
enorme ristagno intellettuale rivela! Si dovrebbero assorbire i colori della vita, mai ricordarne i particolari. I particolari
sono sempre volgari.»
«Devo seminare dei papaveri nel mio giardino,» sospirò Dorian.
«Non ce né bisogno,» replicò l'amico. «La vita ha sempre i papaveri nelle sue mani. Di tanto in tanto,
naturalmente, le cose vanno per le lunghe. Una volta, per tutta la stagione non feci che portare violette come lutto
artistico per una storia romantica che non voleva morire. Comunque morì, alla fine. Ho dimenticato che cosa la uccise.
Probabilmente le decisione di lei di sacrificarmi il mondo intero. Questo è sempre un momento pauroso: ci colma del
terrore dell'eternità. Bene - lo crederesti? - una settimana fa, a casa di Lady Hampshire, mi sono trovato a tavola accanto
alla signora in questione e lei ha preteso di ritornare sulla faccenda, di rivangare il passato, di frugare nel futuro. Io
avevo sepolto il mio romanzo in un letto di asfodeli, lei lo esumò e mi assicurò che le avevo rovinato la vita. Devo dire
che mangiò a quattro palmenti e quindi non mi sentii angosciato. Ma che mancanza di gusto! L'unico fascino del
passato è che è passato. Ma le donne non sanno mai quando è calata la tela. Vogliono sempre un sesto atto e, appena
l'interesse per la rappresentazione è completamente esaurito, intendono continuare. Se potessero fare come vogliono,
ogni commedia finirebbe tragicamente e ogni tragedia culminerebbe in una farsa. Sono artificiosamente affascinanti, ma
non hanno senso artistico. Tu sei più fortunato di me. Dorian, ti assicuro che nessuna delle donne che ho conosciuto
avrebbe fatto per me quello che ha fatto per te Sibyl Vane. Le donne mediocri si consolano sempre. Alcune lo fanno
appassionandosi ai colori sentimentali. Non fidarti mai di una donna che veste in mauve, quale che sia la sua età, né di
una donna che passati i trentacinque abbia la passione dei nastri rosa. Significa sempre che c'è dietro una storia. Altre si
consolano moltissimo scoprendo improvvisamente le buone qualità del proprio marito. Ti ostentano la loro felicità
coniugale come se fosse il più seducente dei peccati. Alcune si consolano con la religione. Una volta una donna mi
disse che i misteri religiosi hanno tutto il fascino dei flirt, cosa che posso capire alla perfezione. Inoltre, nulla rende così
vanitosi come sentirsi dare del peccatore. La coscienza ci rende tutti malati di egotismo. Sì, le consolazioni che una
donna può trovare nella vita moderna sono infinite. In realtà, però, non ti ho ancora parlato della più importante.»
«Qual è, Harry?» domandò il giovane stancamente.
«Oh, la più ovvia. Rubare l'ammiratore a un'altra quando si è perso il proprio. Nella buona società questo
rimette sempre a nuovo una donna. Ma davvero, Dorian, quanto doveva essere diversa Sibyl Vane da tutte le donne che
si incontrano! Secondo me c'è qualche cosa di perfetto nella sua morte. Sono lieto di vivere in un secolo in cui
avvengono simili prodigi. Ci fanno credere alla realtà delle cose che tutti noi trattiamo con leggerezza, come il senso del
romantico, la passione e l'amore.»
«Dimentichi che sono stato tremendamente crudele con lei.»
«Temo che le donne apprezzino la crudeltà, la crudeltà brutale, più di ogni altra cosa. Hanno istinti
meravigliosamente primitivi. Le abbiamo emancipate, ma loro rimangono egualmente delle schiave alla ricerca del
padrone. Amano essere dominate. Sono certo che sarai stato splendido. Non ti ho mai visto veramente in collera, ma
riesco a immaginare come dovevi essere bello. E, dopotutto, due giorni fa mi hai detto una cosa che allora mi era
sembrata una pura fantasia ma di cui oggi vedo l'assoluta verità e che rappresenta la chiave di tutto.»
«Di che cosa si trattava, Harry?»
«Mi hai detto che per te Sibyl Vane rappresentava tutte le eroine sentimentali: che una sera era Desdemona,
un'altra sera Ofelia; che se moriva come Giulietta, tornava in vita come Imogene.»
«Adesso non tornerà più in vita,» mormorò il giovane nascondendo il viso tra le mani.
«No, non ritornerà più in vita. Ha recitato la sua ultima parte. Ma devi vedere quella morte solitaria nel misero
camerino solo come un singolare fosco frammento di una tragedia del tempo di re Giacomo, come una meravigliosa
scena di Webster, di Ford, o di Cyril Tourneur. Quella ragazza non è mai realmente vissuta e quindi non è mai
realmente morta. Per te, almeno, è sempre stata un sogno, un fantasma che volteggiava nelle commedie di Shakespeare
abbellendole con la sua presenza, uno strumento che rendeva più ricca e gioiosa la musica di Shakespeare. Nel
momento in cui toccò la vita reale la rovinò, e questa a sua volta rovinò lei. Per questo è scomparsa. Piangi per Ofelia,
se vuoi, cospargiti il capo di cenere perché Cordelia è stata strangolata, maledici il cielo perché la figlia di Brabantio è
morta, ma non sprecare lacrime per Sibyl Vane: è meno reale di tutti questi personaggi.»
Ci fu un silenzio. La sera addensava l'oscurità nella stanza. Silenziosamente, con piedi d'argento, le ombre
entravano furtive dal giardino e i colori abbandonavano, stanchi, le cose.
Dopo qualche tempo Dorian Gray sollevò lo sguardo. «Mi hai rivelato a me stesso, Harry,» mormorò con una
sorta di respiro di sollievo. «Tutto quello che hai detto lo sentivo, ma in un certo qual modo ne avevo paura e non
riuscivo a chiarirmelo. Come mi conosci bene! Ma non parleremo più di quello che è successo. È stata una meravigliosa
esperienza. È tutto. Chissà se la vita ha ancora in serbo per me qualcosa di altrettanto meraviglioso.»
«La vita ha tutto in serbo per te, Dorian. Non c'è nulla che tu, con la tua straordinaria bellezza, non possa fare.»
«Ma supponi che diventi brutto, vecchio e rugoso. Che cosa succederebbe in questo caso?»
«Ah, in questo caso,» disse Lord Henry alzandosi per andarsene, «... allora, mio caro Dorian, dovresti lottare
per vincere. Adesso la vittoria ti viene incontro. No, devi conservare la tua bellezza. Viviamo in un'epoca che legge
troppo per essere saggia e che pensa troppo per essere bella. Non possiamo risparmiarti. E adesso indossa un abito più
adatto e fatti portare al club. Siamo piuttosto in ritardo.»
«Penso che ti raggiungerò all'Opera, Harry. Mi sento troppo spossato per mangiare. Qual è il numero del palco
di tua sorella?»
«Ventisette, mi pare. È nel primo ordine. Troverai il nome sulla porta. Mi dispiace che tu non venga a pranzo.»
«Non me la sento,» disse Dorian distrattamente. «Ma ti sono davvero riconoscente per tutto quello che mi hai
detto. Sei senz'altro il mio migliore amico. Nessuno mi ha mai capito come te.»
«La nostra amicizia è solo all'inizio, Dorian,» rispose Lord Henry stringendogli la mano. «Arrivederci. Spero
di vederti prima delle nove e mezzo. Ricorda: canta la Patti.»
Mentre la porta si chiudeva dietro di lui, Dorian Gray suonò il campanello e pochi minuti dopo Victor apparve
con le lampade e abbassò gli scuri. Attese, impaziente, che l'uomo se ne andasse: pareva indugiare interminabilmente su
ogni cosa.
Appena uscito, si precipitò verso il paravento e lo scostò. No, non erano avvenuti altri cambiamenti. Aveva
saputo la notizia della morte di Sibyl Vane prima di lui. Sapeva gli avvenimenti della sua vita nel momento in cui si
verificavano. Quella viziosa espressione di crudeltà che deturpava la bella linea della sua bocca senza dubbio era
apparsa nell'attimo in cui la ragazza aveva inghiottito il veleno. Oppure il quadro rimaneva indifferente alle
conseguenze e si limitava a registrare ciò che passava nella sua anima? Si domandò se fosse possibile, sperandolo, di
poter vedere un giorno avvenire il cambiamento proprio sotto i suoi occhi, e nello sperarlo rabbrividì.
Povera Sibyl! Che storia patetica! Aveva spesso imitato la morte sulla scena, poi la morte in persona l'aveva
toccata e portata via con sé. Come aveva recitato quell'orribile ultima scena? Lo aveva maledetto mentre moriva? No;
era morta per amor suo e d'ora in poi l'amore gli sarebbe stato sempre sacro. Sibyl, sacrificando la vita, aveva espiato
tutto. Non avrebbe più pensato a quel che gli aveva fatto sopportare quell'orribile sera a teatro. Avrebbe pensato a lei
solo come a una meravigliosa figura tragica, mandata sulla scena del mondo per mostrare la suprema realtà dell'amore.
Una meravigliosa figura tragica? Ricordando il suo aspetto infantile, i suoi modi amabili e imprevedibili, la sua timida
grazia tremante, gli salirono le lacrime agli occhi. Si asciugò bruscamente le lacrime e guardò di nuovo il quadro.
Sentì che il momento di fare la sua scelta era irrevocabilmente giunto. Oppure la scelta era già stata fatta? Sì, la
vita aveva deciso per lui: la vita e la sua infinita curiosità per la vita. Eterna giovinezza, passioni infinite, piaceri sottili e
segreti, gioie sfrenate e ancor più sfrenati peccati: tutte queste cose sarebbero state sue. Il ritratto avrebbe portato il peso
della sua vergogna: nient'altro.
Fu sopraffatto da un senso di dolore al pensiero dell'infamia riservata al bel volto del ritratto. Una volta, in
un'infantile canzonatura di Narciso, aveva baciato, o finto di baciare, quelle labbra dipinte che ora gli sorridevano con
espressione così crudele. Per mattine e mattine era rimasto seduto di fronte al ritratto, stupito della sua bellezza. A volte
gli sembrava di esserne innamorato. E ora il suo destino era quello di alterarsi a ogni stato d'animo cui si fosse
abbandonato? Sarebbe divenuto una cosa mostruosa e ignobile da nascondere in una stanza chiusa a chiave, da tener
lontana dalla luce del sole che tanto spesso aveva reso più luminosa l'ondulata meraviglia d'oro dei suoi capelli? Che
peccato! Che peccato!
Per un momento ebbe l'idea di pregare che l'orribile affinità tra lui e il quadro avesse fine. Era mutato come
risposta a una sua preghiera, forse poteva mantenersi intatto come risposta ad un'altra preghiera. E tuttavia chi,
conoscendo qualche cosa della vita, avrebbe rinunciato alla possibilità di rimaner giovane, per quanto fantastica potesse
essere, o per quanto fatali fossero le conseguenze? D'altra parte, aveva davvero la possibilità di farlo? Era stata proprio
la sua preghiera a determinare quella situazione? Non poteva essere in gioco qualche strano fenomeno scientifico? Se il
pensiero poteva esercitare un'influenza su un organismo vivente, non avrebbe potuto esercitarla anche sulla materia
morta e inorganica? Inoltre, anche se prive di pensieri o desideri consapevoli, le cose che stanno al di fuori di noi, non
potrebbero vibrare all'unisono con i nostri sentimenti e le nostre passioni, non potrebbe un atomo legarsi all'altro nel
segreto amore di una strana affinità? Ma il motivo non aveva nessuna importanza. Non avrebbe mai più tentato con una
preghiera nessuna terribile potenza. Se il quadro doveva alterarsi, che si alterasse. Ecco tutto. Perché indagare troppo
minuziosamente ?
Sarebbe stato un vero piacere osservarlo. Avrebbe potuto seguire la sua mente nei suoi segreti nascondigli. Il
ritratto sarebbe stato il più magico degli specchi. Come gli aveva rivelato il suo corpo, gli avrebbe rivelato la sua anima.
E quando per il quadro fosse giunto l'inverno, lui sarebbe stato ancora là dove la primavera freme sulla soglia
dell'estate. Quando il sangue avrebbe abbandonato il suo volto, lasciando dietro di sé una pallida maschera di gesso
dagli occhi offuscati, lui avrebbe conservato il fascino della giovinezza. Non un solo bocciolo della sua bellezza sarebbe
mai appassito, non un impulso della sua vita sarebbe mai mancato. Come gli dei della Grecia, sarebbe stato forte, agile,
pieno di vita. Che cosa importava quello che sarebbe successo all'immagine sulla tela? Lui sarebbe stato al sicuro.
Questo solo contava.
Riportò il paravento davanti al quadro e, nel farlo, sorrise. Quindi si trasferì in camera da letto, dove il
cameriere lo attendeva. Un'ora dopo era all'Opera e Lord Henry si chinava sulla sua poltrona.

IX
Il mattino dopo, mentre sedeva a colazione, entrò Basil Hallward.
«Sono contento di averti trovato, Dorian,» disse con voce grave. «Ti ho cercato ieri sera e mi hanno detto che
eri all'Opera. Naturalmente sapevo che era impossibile, ma avrei desiderato che avessi lasciato detto dove eri andato.
Ho passato una serata tremenda; avevo quasi paura che a una tragedia ne seguisse un'altra. Avresti potuto telegrafarmi
appena hai saputo la notizia. L'ho letta per caso nell'ultima edizione del Globe che ho trovato al club. Sono venuto qui
immediatamente, mi sono sentito molto depresso non avendoti trovato. Non so dirti quanto sia addolorato: so quel che
devi soffrire. Ma dov'eri? Sei andato a trovare la madre della ragazza? Per un momento ho pensato di raggiungerti là.
Sul giornale c'era l'indirizzo: Euston Road, vero? Ma temevo di turbare un dolore che non ero in grado di alleviare.
Povera donna! In che stato deve trovarsi! La sua unica figlia, oltretutto! Che cosa diceva?»
«Mio caro Basil, come faccio a saperlo?» mormorò Dorian Gray, sorseggiando con aria estremamente annoiata
un vino chiarissimo da un delicato calice di vetro veneziano ornato di perline d'oro. «Ero all'opera. Avresti dovuto
venirci anche tu. Ho conosciuto Lady Gwendolin, la sorella di Lord Henry. Eravamo nel suo palco. È una donna
davvero affascinante e poi la Patti canta divinamente. Non parlare di queste cose spiacevoli. Se non si parla di una cosa,
è come se non fosse mai avvenuta. Come dice Harry, è solo il parlarne che dà realtà alle cose. Devo precisare che non
era figlia unica: c'è un maschio, un simpatico ragazzo, credo. Ma non lavora in teatro: fa il marinaio o qualcosa del
genere. E ora parlami di te e di quello che stai dipingendo.»
«Sei andato all'Opera?» disse Hallward, scandendo le parole e con una espressione di sofferenza trattenuta
nella voce. «Sei andato all'Opera mentre Sibyl Vane giaceva priva di vita in una sordida camera d'affitto? Puoi parlarmi
del, fascino di altre donne, della Patti che canta divinamente, prima ancora che la ragazza che amavi riposi in una
tomba? Insomma, amico, cose orribili attendono quel suo corpicino bianco.»
«Basta, Basil! Non voglio sentire queste cose!» esclamò Dorian alzandosi di scatto. «Non me ne parlare. Quel
che è stato è stato. Il passato è passato.»
«E, per te, ieri è il passato?»
«Che importanza ha l'effettivo trascorrere del tempo? Solo le persone superficiali impiegano anni per liberarsi
da un'emozione. Chi sia padrone di sé può porre temine a una sofferenza con la stessa facilità con cui inventa un
piacere. Non voglio essere in balia delle mie emozioni. Voglio servirmene, goderle e dominarle.»
«È terribile, Dorian! Qualche cosa ti ha completamente trasformato! A vederti sei sempre il meraviglioso
ragazzo che, ogni giorno, era solito venire nel mio studio a posare. Ma allora eri semplice, naturale, affettuoso, eri la
creatura più innocente del mondo. Ora, non so che cosa ti è successo: parli come se non avessi né cuore né pietà. È
l'influenza di Harry, lo vedo.»
Il giovane arrossì e, avvicinandosi alla finestra, guardò per qualche istante il giardino verde che tremolava sotto
l'intensa luce solare. «Basil, ad Harry io devo molto,» disse alla fine, «più di quanto devo a te. Tu mi hai insegnato
soltanto ad essere vanitoso.»
«Bene, ne sono punito, Dorian... o lo sarò un giorno.»
«Non capisco che cosa vuoi dire, Basil,» esclamò Dorian voltandosi. «Non capisco che cosa vuoi dire. Che
cosa vuoi?»
«Voglio il Dorian che ero solito dipingere,» disse tristemente il pittore.
«Basil,» disse il giovane, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla, «sei arrivato troppo tardi. Ieri,
quando ho saputo che Sibyl Vane si era uccisa...»
«Si era uccisa! Santo cielo! Non ci sono dubbi?» gridò Hallward, fissandolo con un'espressione d'orrore.
«Mio caro Basil! Non penserai che si tratti di un volgare incidente? Naturalmente si è suicidata.»
Basil Hallward si nascose il volto tra le mani. «È terribile,» mormorò scosso da un brivido.
«No,» disse Dorian Gray, «non c'è nulla di terribile in questo. È una delle grandi tragedie romantiche di questa
epoca. Di regola, gli attori conducono una vita estremamente mediocre. Sono bravi mariti o mogli fedeli, o qualche cosa
altrettanto noiosa. Sai quello che voglio dire: valori borghesi e tutto il resto. Quanto era diversa Sibyl! Ha vissuto la più
bella delle sue tragedie. Era sempre un'eroina. L'ultima sera che recitò, quella in cui l'hai vista, recitò male perché aveva
conosciuto la realtà dell'amore. Quando ne conobbe l'irrealtà, morì, come avrebbe dovuto morire Giulietta. Ritornò nella
sfera dell'arte. Vi è qualche cosa della martire in lei: la sua morte ha tutta la patetica inutilità del martirio, tutta la sua
bellezza sprecata. Ma, come ti stavo dicendo, non devi pensare che non abbia sofferto. Se tu fossi venuto ieri, in un
certo momento, verso le cinque e mezzo, o le sei meno un quarto, mi avresti trovato in lacrime. Anche Harry, che era
qui e che mi aveva portato la notizia, in realtà, non ha sospettato quel che stavo passando. Ho sofferto immensamente.
Poi tutto è finito. Non posso ritornare a vivere un'emozione. Nessuno può, salvo gli individui sentimentali. E tu sei
orribilmente ingiusto, Basil. Vieni qui per consolarmi. Questo è molto gentile da parte tua. Però mi trovi consolato e ti
arrabbi. Proprio come le persone pietose! Mi ricordi una storia che mi ha raccontato Harry di un certo filantropo che
aveva passato vent'anni della sua vita cercando di raddrizzare un torto, o di far modificare qualche legge ingiusta... ho
dimenticato di cosa si trattasse precisamente. Alla fine riuscì nel suo intento e ci rimase malissimo: non aveva
assolutamente più nulla da fare e quasi morì di ennui trasformandosi poi in un misantropo convinto. E a parte questo,
mio caro vecchio Basil, se davvero vuoi consolarmi, insegnami piuttosto a dimenticare quel che è successo o a vederlo
sotto la giusta angolatura artistica. Non è stato Gauthier a scrivere qualche cosa sulla consolation des arts? Ricordo di
aver preso in mano un giorno nel tuo studio un libretto rilegato in pergamena e di aver trovato per caso questa
bellissima frase. Bene, non sono come quel giovane di cui mi hai parlato quando eravamo insieme da Marlow, quello
che era solito dire che la seta gialla poteva consolare di tutte le miserie della vita. Amo le belle cose che si possono
toccare e tenere in mano: i vecchi broccati, i bronzi patinati, le lacche, gli avorii scolpiti, gli ambienti raffinati, il lusso,
la pompa... tutte queste cose possono dare molto. Ma per me è ancor più importante il temperamento artistico che esse
creano o che comunque rivelano. Come dice Harry, divenire lo spettatore della propria vita, significa sfuggire i fatti
dell'esistenza che ci fanno soffrire. So che ti stupisce sentirmi parlare così. Non ti sei reso conto di quanto mi sono
sviluppato. Quando mi hai conosciuto ero ancora uno scolaretto, ora sono un uomo. Ho nuove passioni, nuovi pensieri,
nuove idee. Sono diverso, ma non devi volermi meno bene, sono cambiato, ma devi essere, sempre mio amico.
Naturalmente sono molto affezionato a Harry, ma so che tu sei migliore di lui. Tu non sei più forte - temi troppo la vita
- ma sei migliore. E quanto siamo stati felici insieme! Non abbandonarmi, Basil, e non litigare con me. Sono quello che
sono. Non c'è altro da dire.»
Il pittore si sentiva stranamente commosso. Quel giovane gli era infinitamente caro e la sua personalità aveva
segnato la grande svolta nella sua arte. Non sopportava l'idea di rimproverarlo ancora. Dopotutto, la sua indifferenza era
semplicemente uno stato d'animo passeggero. C'erano tante buone cose in lui, tante cose nobili.
«D'accordo, Dorian,» disse alla fine con un triste sorriso, «non ti parlerò più di questa orribile faccenda. Spero
solo che non si faccia il tuo nome. Oggi pomeriggio ci sarà l'inchiesta. Sei stato chiamato a testimoniare?»
Dorian Gray scosse il capo e nel sentire la parola «inchiesta» un'ombra di noia gli passò in viso. C'era qualche
cosa di rozzo e volgare in tutte le cose di questo tipo.
«Non sanno il mio nome,» rispose.
«Ma lei lo sapeva di certo.»
«Solo il nome di battesimo e sono assolutamente sicuro che non lo ha detto a nessuno. Mi ha detto una volta
che erano tutti piuttosto curiosi di sapere chi fossi e che lei diceva loro invariabilmente che mi chiamavo Principe
Azzurro. È stato molto gentile da parte sua. Basil, devi farmi uno schizzo di Sibyl, vorrei avere di lei qualche cosa di
più del ricordo di pochi baci e di alcune parole rotte e patetiche.»
«Cercherò di fare qualche cosa, Dorian, se ti fa piacere. Ma devi ritornare a posare per me. Senza di te non
posso continuare.»
«Non posso più posare per te, Basil. È impossibile!» esclamò Dorian, arretrando di un passo. Il pittore lo
guardò stupito. «Mio caro ragazzo, che assurdità!» esclamò. «Vuoi dire che il ritratto non ti piace? Dov'è? Perché lo hai
coperto con un paravento? Lasciamelo vedere. È la miglior cosa che io abbia mai fatto. Togli quel paravento, Dorian: è
semplicemente vergognoso che il tuo cameriere nasconda così la mia opera. Mi è sembrato che la stanza fosse diversa
quando sono entrato.»
«Il mio cameriere non c'entra, Basil. Non penserai che gli lasci disporre la stanza al mio posto? Qualche volta
sistema i fiori e basta. No, sono stato io. Lo colpiva una luce troppo forte.»
«Troppo forte? Ma nient'affatto, mio caro. È in una posizione magnifica. Fammelo vedere.» E Hallward si
diresse verso l'angolo della stanza.
Un grido di terrore uscì dalle labbra di Dorian Gray, e il giovane si precipitò tra il pittore e il paravento.
«Basil,» disse, pallidissimo in volto, «non devi vederlo. Non voglio che tu lo veda.»
«Non guardare il mio quadro! Non parli sul serio. Perché non dovrei guardarlo?» esclamò Hallward ridendo.
«Se cerchi di vederlo, Basil, parola mia, non ti rivolgerò più la parola per tutta la vita. Parlo seriamente. Non ti
do spiegazioni, e non me ne devi chiedere. Ma ricorda, se tocchi questo paravento, fra noi tutto è finito.»
Hallward era come fulminato. Guardò Dorian Gray assolutamente sbigottito. Non l'aveva mai visto così: il
giovane era pallido di collera, teneva stretti i pugni e le pupille erano simili a dischi di fiamma azzurra. Tremava tutto.
«Dorian!»
«Non parlare!»
«Ma che cosa è successo? Naturalmente non lo guarderò, se non vuoi,» disse piuttosto freddamente il pittore,
voltandosi e ritornando verso la finestra. «Però, davvero, mi pare piuttosto assurdo che io non possa vedere la mia
opera, tanto più che intendo esporla a Parigi quest'autunno. Probabilmente prima dovrò darle un'altra mano di vernice e
quindi un giorno o l'altro dovrò vederla. Perché non oggi?»
«Esporla? Vuoi esporla?» esclamò Dorian Gray, colto da uno strano senso di terrore. Tutti avrebbero saputo il
suo segreto? Il pubblico avrebbe guardato a bocca aperta il mistero della sua vita? Impossibile. Bisognava fare qualche
cosa - non sapeva che cosa - immediatamente.
«Sì, penso che non avrai nulla in contrario. George Petit sta raccogliendo i miei quadri migliori per una mostra
speciale in rue de Sèze che si aprirà la prima settimana di ottobre. Il ritratto starà via soltanto un mese. Penso che per un
periodo così breve te ne potrai separare facilmente. In realtà, sarai certamente fuori città e, se lo tieni sempre dietro un
paravento, non deve importartene molto.»
Dorian Gray si passò una mano sulla fronte. Era bagnata di sudore. Sentiva di essere sull'orlo di un tremendo
pericolo. «Un mese fa mi hai detto che non l'avresti mai esposto,» esclamò. «Come mai hai cambiato idea? Voi che fate
di tutto per essere coerenti, cambiate idea proprio come gli altri. L'unica differenza è che i vostri cambiamenti di umore
sono privi di significato. Non puoi aver dimenticato che mi hai assicurato con la massima solennità che nulla al mondo
ti avrebbe indotto ad esporto. Hai detto la stessa cosa ad Harry.» Si fermò improvvisamente; un lampo gli apparve negli
occhi. Ricordò che una volta Lord Henry gli aveva detto un po' per scherzo e un po' sul serio: «Se vuoi passare uno
strano quarto d'ora, fatti dire da Basil perché non vuole esporre il tuo quadro. A me lo ha detto ed è stata una
rivelazione.» Sì, forse anche Basil aveva il suo segreto. Avrebbe provato a chiederglielo.
«Basil,» disse facendoglisi molto vicino e guardandolo diritto negli occhi, «ognuno di noi ha il suo segreto.
Dimmi il tuo e ti dirò il mio. Perché non volevi esporre il mio ritratto?»
Il pittore rabbrividì involontariamente. «Dorian, se te lo dicessi, forse ti piacerei meno e rideresti certamente di
me. Non potrei sopportare nessuna di queste due cose. Se vuoi che non veda più il tuo ritratto ne sono contento. Posso
sempre guardare te. Se vuoi che la mia opera migliore rimanga sconosciuta, sono soddisfatto. La tua amicizia mi è più
cara della fama e di qualunque riconoscimento.»
«No, Basil, devi dirmelo,» insistette Dorian Gray. «Credo di avere il diritto di saperlo.» Il terrore era svanito,
sostituito dalla curiosità. Era deciso a scoprire il segreto di Basil Hallward.
«Sediamoci, Dorian,» disse il pittore turbato. «Sediamoci. E rispondi a questa domanda, almeno. Hai notato
qualche cosa di strano nel quadro?... qualche cosa che in un primo momento probabilmente non ti aveva colpito, ma che
ti si è rivelato improvvisamente?»
«Basil!» gridò il giovane stringendo con mani tremanti i braccioli della poltrona e fissandolo con occhi
sbarrati.
«Vedo che lo hai notato. Non dire nulla. Aspetta di aver sentito quel che ho da dire. Dorian, dal momento in
cui ti ho conosciuto, la tua personalità ha avuto su di me un'influenza straordinaria. Sono stato dominato da te,
nell'anima, nella mente, in ogni mia forza. Per me tu eri divenuto l'incarnazione palese di quell'ideale invisibile il cui
ricordo ossessiona noi artisti come un sogno squisito. Ti adorai, divenni geloso di chiunque ti parlasse. Volevo averti
tutto per me. Ero felice solo quando ero insieme a te. Quando tu mi eri lontano, eri sempre presente nella mia arte.
Naturalmente non ti ho mai fatto sapere nulla di tutto questo, sarebbe stato impossibile. Non avresti capito. Io stesso mi
capivo appena. Sapevo solo che avevo visto la perfezione faccia a faccia, e che ai miei occhi il mondo era diventato
meraviglioso, forse, perché in queste folli adorazioni c'è sempre un pericolo - quello di perderle - non minore di quello
di conservarle... Passarono settimane e settimane ed ero sempre più assorbito da te. Poi si sviluppò una nuova fase. Ti
avevo ritratto nella lucente armatura di Paride con il mantello da cacciatore e il lucido spiedo di Adone. Incoronato con i
ricchi fiori di loto eri seduto sulla prora del vascello di Adriano e osservavi il torbido verde Nilo. Ti eri chinato sopra la
calma polla di qualche bosco della Grecia e avevi contemplato nel silenzioso argento dell'acqua la meraviglia del tuo
volto. E ogni cosa era come deve essere l'arte: inconscia, ideale, remota. Un giorno - un giorno fatale, penso, a volte -
decisi di dipingere un meraviglioso ritratto di te come sei nella realtà: non nei costumi di età passate, ma nei tuoi abiti e
nel tuo tempo. Non so dire se fosse la tecnica realistica, oppure solo lo splendore della tua personalità che si presentava
direttamente dinanzi a me senza nebbie né veli, ma so che, mentre lavoravo, ogni pennellata, ogni strato di colore mi
pareva rivelassero questo mio segreto. Ebbi paura che gli altri potessero vedere la mia idolatria. Sentivo, Dorian, di aver
detto troppo, di aver messo nel quadro troppo di me stesso. Fu allora che decisi che non avrei mai esposto il quadro. Tu
eri un po' seccato, ma allora non ti rendevi conto del significato che aveva per me. Ne parlai con Harry e lui rise. Ma
non me ne importava. Quando il quadro fu terminato e io mi ci sedetti davanti da solo, capii che avevo ragione... Bene,
dopo pochi giorni il quadro lasciò il mio studio e, appena mi liberai del fascino insopportabile della sua presenza, mi
parve di essere stato sciocco nel vedervi qualche cosa di diverso dal fatto che tu sei bello e che io so dipingere bene.
Anche ora non posso fare a meno di ritenere un errore il fatto che l'emozione provata creando si riveli davvero
nell'opera creata. L'arte è sempre più astratta di quanto immaginiamo. La forma e il colore ci parlano di forma e colore e
basta. Spesso mi pare che l'arte nasconda l'artista molto più di quanto non lo riveli. E così quando ho ricevuto questa
offerta da Parigi decisi che il tuo quadro sarebbe stato il pezzo principale della mostra. Non mi venne mai in mente che
avresti rifiutato. Ma ora vedo che hai ragione: non lo si può esporre. Non devi arrabbiarti con me, Dorian, per le cose
che ti ho detto. Come ho detto una volta a Harry, tu sei fatto per essere adorato.»
Dorian Gray respirò profondamente. Le guance ripresero colore e un sorriso gli giocò sulle labbra. Il pericolo
era passato. Per il momento era salvo. E tuttavia non poteva fare a meno di provare una infinita pietà per il pittore che
gli aveva fatto questa singolare confessione, domandandosi se, a sua volta, sarebbe mai stato dominato dalla personalità
di un amico. Lord Henry aveva il fascino del pericolo, ma niente altro. Era troppo intelligente e troppo cinico per
potersene innamorare. Ci sarebbe mai stato qualcuno capace di fargli provare questa strana idolatria? Era una delle cose
che la vita aveva in serbo per lui?
«Mi sembra straordinario, Dorian,» disse Hallward, «che tu abbia visto questo nel ritratto. L'hai davvero
visto?»
«Vi ho visto qualche cosa,» rispose, «una cosa che mi sembrava molto curiosa.»
«Bene, non ti importa se ora gli do un'occhiata?»
Dorian scosse il capo. «Non me lo devi chiedere, Basil. Non posso lasciarti di fronte a quel quadro.»
«Ma un giorno, certamente...»
«Mai.»
«Bene, forse hai ragione. E adesso arrivederci, Dorian. Sei stato l'unica persona che abbia effettivamente
influito sulla mia arte. Tutto quello che ho fatto di buono, lo devo a te. Ah! Non sai quanto mi è costato dirti quello che
ti ho detto.»
«Mio caro Basil,» disse Dorian. «Che cosa mi hai detto? Semplicemente che sentivi di ammirarmi troppo. Non
è nemmeno un complimento.»
«Non voleva esserlo: era una confessione. E adesso che l'ho fatta, mi pare che qualche cosa sia uscito da me.
Forse non si dovrebbe mai mettere in parole la propria adorazione.»
«È stata una confessione molto deludente.»
«E che cosa ti aspettavi, Dorian? Hai visto qualche altra cosa nel quadro? C'erano altre cose da vedere?»
«No, nient'altro. Perché me lo domandi? Ma non devi parlare di adorazione. È sciocco. Tu ed io siamo amici,
Basil, e dobbiamo rimanerlo sempre.»
«Hai trovato Harry,» disse il pittore tristemente.
«Oh, Harry,» esclamò il giovane con l'accenno di un sorriso. «Harry passa le giornate a dire cose incredibili e
le serate a fare cose improbabili. Proprio il genere di vita che mi piacerebbe fare. Ma non credo che andrei da Harry se
mi trovassi nei guai. Preferirei venire da te, Basil.»
«Poserai ancora per me?»
«Impossibile!»
«Con questo rifiuto, rovini la mia vita di artista, Dorian. Nessuno incontra due ideali. Pochi ne incontrano
uno.»
«Non posso spiegarti, Basil, ma non devo posare per te. C'è qualche cosa di fatale in un ritratto.
Ha una vita propria. Verrò a casa tua a prendere il tè. Sarà altrettanto piacevole.»
«Lo sarà di più per te, temo,» mormorò Hallward in tono di rimpianto. «E adesso, arrivederci. Mi dispiace che
tu non mi permetta di vedere una volta ancora il ritratto, ma non ci si può fare nulla. Capisco benissimo i tuoi
sentimenti.»
Mentre Basil lasciava la stanza, Dorian Gray sorrise tra sé. Povero Basil! Quanto poco sapeva del vero motivo!
E com'era strano che, invece di essere costretto a rivelare il proprio segreto, fosse riuscito, quasi per caso, a cogliere il
segreto dell'amico! Quante cose spiegavano quella strana confessione! Gli assurdi accessi di gelosia del pittore, la sua
devozione sfrenata, gli stravaganti panegirici, le sue curiose reticenze... adesso capiva tutto e gliene dispiaceva. Gli
pareva che ci fosse un elemento tragico in un'amicizia così tinta di sentimentalismo.
Sospirò e suonò il campanello. Bisognava nascondere il ritratto a qualunque costo. Non poteva correre
nuovamente il rischio che venisse scoperto. Era stata una pazzia lasciare che rimanesse anche un'ora sola in una stanza
in cui tutti i suoi amici potevano entrare.

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